domenica 22 novembre 2009

Tempo di cassoeula: la ricetta di Vasco Cesana

Le grigie giornate di questo autunno brianzolo, il primo che Vasco Cesana passa nella sua terra di origine da alcuni anni a questa parte, sono l’accompagnamento ideale per dedicarsi alla preparazione di uno dei piatti più tradizionali di questa zona della Gallia Cisalpina, la Cassoeula, piatto probabilmente con origini ancestrali comuni a quella Transalpina, anche se la Cassoulet, piatto tipico del Languedoc, e l’alsaziana Choucroute, che qualche volta le vengono associati, c’entrano con la Cassouela lombarda come i cavoli o, meglio, le verze, a merenda. La ricerca delle materie prime principali, verze, costine, salamelle, nella versione piccola chiamate in dialetto verzitt, cotenne, non è complicata e possono essere trovate in qualsiasi supermercato o negoziante di fiducia. Più complicato è essere sicuri sulla qualità degli ingredienti e trovare la salsiccia di Monza, la luganega, preparata secondo i canoni tradizionali. Vasco ha alcuni indirizzi sicuri e la trova, perfetta, in una macelleria della zona che preferisce mantenere riservata per non incorrere in problemi di approvvigionamento nel momento del bisogno. Le verze sono coltivate in quasi tutti gli orti intorno a casa. In effetti, essendo stata la temperatura durante la notte abbondantemente sopra lo zero, avrebbe dovuto, seguendo il precetto che la verza deve avere vissuto una gelata prima di essere colta, salire quasi in cima alla Grigna, dove era segnalato lo zero altimetrico ma, tutto sommato, preferisce alla fine chiedere un paio di verze tra quelle, bellissime, dell’orto del vicino.
La ricetta tipica ha diverse versioni. Vasco propende per una ricetta che riflette una certa ricerca di contenimento dell’inevitabile pesantezza del piatto, elaborando le componenti tipiche secondo alcuni accorgimenti che gli erano stati insegnati da sua madre. La cassoeula in sé non è un piatto particolarmente difficile da preparare, richiede solo tempo, almeno 3 ore, ed un buon coordinamento nella preparazione degli ingredienti. Per questo Vasco si è da tempo preparato un flowchart nel quale ha riassunto in forma grafica le preparazione ed i tempi di cottura necessari per essere sicuro di non dimenticarsi qualche fase.



Una decisione critica per il risultato finale, anche in termini di lunghezza dei tempi di digestione, riguarda le cotenne: una casseoula senza cotenne è una bestemmia culinaria ma una con troppe cotenne, soprattutto se non gestite correttamente, può compromettere la digestione dei commensali per diversi giorni a venire. Vasco le limita a 100 g. totali per 6 commensali, e, secondo le prescrizioni, le fiammeggia, le raschia, le rilava e le fa bollire in acqua bollente per un’ora. Con qualche rammarico, Vasco rinuncia anche a prevedere nella casseoula il muso del maiale e le orecchie, ingredienti un po’ pulp previsti nelle ricette originarie brianzole. D’altra parte, in tempi di influenza suina, almeno inconsciamente, l’idea di mettersi a leccare l’unto depositato nell’orecchietta del maiale o di succhiarlo dalle narici forse gli risulta leggermente meno allettante del solito. Per bilanciare il rischio di far diventare la ricetta drammaticamente troppo salutista, decide di mettervi sia i verzitt (i commensali normalmente esigono avere almeno un bel salamino intero nel piatto), sia la luganega.
Per quest’ultima stabilisce due fasi, una parte va all’inizio con il soffritto, destinata a frammentarsi e liquefarsi con la cottura, ed una parte, ridotta a tocchettini punzecchiati un po’ più grandi, più avanti, insieme ai verzitt, dopo aver aggiunto le puntine. La luganega farà così capolino a sorpresa nei piatti di portata per la gioia dei fortunati. Vasco fa parte del partito sostenitore dell’apporto del pomodoro alla casseoula, scegliendo dei bei pomodori pelati San Marzano aggiunti dopo la prima fase di cottura delle puntine e poco dopo le carote ed i sedani sminuzzati. Come insegna la cucina romana, amatriciana in primis, l’acidità del pomodoro corregge correggendosi il grasso rilasciato nei soffritti di cottura dal maiale, facendolo risultare così più “arrotondato”. Nello stesso senso va l’aggiunta di un paio di piccole scorze di limone inserite all’inizio della cottura delle puntine. Tutto fila normalmente abbastanza liscio, a meno che ci si dimentichi di rimescolare o aggiungere un po’ di brodo, facendo sinistramente bruciare il fondo di cottura, fino al passaggio più delicato della ricetta: la gestione delle verze. A quel punto ormai buona parte del pomeriggio sarò stata dedicata alla cucina, l’intingolo nella pentola sprigiona dei profumi suini quasi inebrianti, la fame comincia a farsi sentire e, tuttavia, si può ancora rovinare tutto.....
Il dilemma sta tutto nel contrasto tra il detto dialettale “la casseoula la gh'ha de vess tachenta e minga sbrodolada e sbrodolenta” e l’altro precetto fondamentale che le verze devono rimanere croccanti e non ridotte in poltiglia o, come si dice eloquentemente in dialetto, “desfà” . I due obiettivi sono contrastanti perché da un lato le verze, una volta messe in pentola, rilasciano acqua, che deve assolutamente evaporare e, dall’altro, più a lungo dura la cottura, per rendere più compatta la preparazione, più le verze si “desfano”. A questo si aggiunge il caso, il destino, ovvero effettivamente sembra che se la notte non ci sia stata la gelata, difficilmente le verze riescono a rimanere croccanti. La procedura di Vasco per trovare “la quadra” è quella di anticipare un po’ il lavaggio ed il passaggio in acqua bollente delle verze e di cercare di farle asciugare bene ma il risultato non è sempre quello sperato. Vasco comunque è contrario a quelle cassouela un po’ secche che si trovano qualche volta nelle trattorie ed esige che il liquido permei ed abbracci i compagni di cottura. Il piatto finale deve trasmettere tutto il senso ed il gusto dell’untuosità delle salsicce, delle puntine e delle cotiche semi disciolte e per questo non è per niente convinto anche della necessità di abbinarvi la polenta, che, dall’alto della sua aridità giallastra, vuole privarlo del gusto di intingervi con voluttà i bocconcini di pane. Al limite, pensa, si può dare una possibilità a quelle polente fatte su fuoco a legna nelle tradizionali pentole di rame, non certo a quegli sgorbi mollicci che di solito sortiscono dai normali fornelli di casa. Pessima gli risulta anche la scelta suggerita da alcuni esponenti dell’enogastronomia che vogliono abbinare alla casseoula i vini valtellinesi, magari il grande sfurzat, millantando inesistenti propensioni storiche brianzole a circondarsi di vini valtellinesi, cosa non vera, in quanto questi prendevano molto di più la direzione Nord, verso la ricca e vicina Svizzera e non quella Sud, verso la contadina e plebea Brianza, che al massimo una volta poteva concedersi, oltre al Pincianel ed altri vinelli locali, qualche Barbera e Bonarda dell’Oltrepò. Ed è proprio su una Bonarda che ricade la scelta di Vasco come vino ideale per accompagnare la sciura cassouela, una bonarda giovane e vivace, come ad esempio la Bonarda Vigna delle MoreIsimbarda di un anno, che con il suo brio può fluidificare e far scorrere al meglio la casseoula e le sue grasse e sempre gradite untuosità vivacizzando le grigie giornate novembrine cispadane.


Et...voilà, la casseoula è pronta per essere servita 21 novembre 2009

domenica 8 novembre 2009

Berlino, i Grandi Magazzini della Storia


Veduta dalla nuova cupola del Bundestag (ex Reichstag), Berlino
A vent’anni dalla caduta del Muro ripercorriamo l’ultima visita di Vasco Cesana a Berlino (marzo 2006).
Il programma di viaggio di Vasco prevede la partenza dalla poche di Dunkerque nel primo pomeriggio per riuscire a salire sul volo Virgin da Bruxelles per Berlino evitando la resistenza accanita del traffico che con l'avvicinarsi del weekend scende dalle Ardenne e si trincea lungo il Ring di Bruxelles. Lo aspettano a Berlino nella zona della Wittenberg Platz. Vasco riesce infine a raggiungere il check in ma anche il volo è in ritardo. Arriva nel remoto aeroporto berlinese di Schonefeld ormai a notte inoltrata, intorno alle 22,30. Mentre cerca faticosamente di fare mente locale se andare verso la stazione U-Bahn o piuttosto verso la S-Bahn, entrambe distanti nel gelido orizzonte notturno di questo angolo della ex DDR, gli parte davanti l’ultimo Bus. Rimpiange per un attimo la guerra fredda: se si fosse trovato qui una ventina di anni prima, lui, occidentale, per di più in arrivo da Bruxelles, sede del quartier generale della Nato, sarebbe circondato dalle premurose attenzioni dei Vopos e di qualche agente della Stasi. Oggi invece intorno a lui non c’è neanche un cane a cui chiedere informazioni. In più, è affamato ed i chioschi dei wurstel hanno chiuso bottega da molte ore, come i taxisti che pare siano andati tutti a dormire. Assume quindi la guida, sfoderando nell’emergenza il suo tedesco un po’ scolastico, di un manipolo di turisti dispersi: una coppia di italiani, un francese, due britannici ed alcuni giapponesi che si aggirano nel freddo deserto della stazione. Lo ascoltano con apprensione quando legge ad alta voce e traduce in inglese un cartello che annuncia che il servizio dei treni S-Bahn per il centro in quel weekend è sospeso. I giapponesi non prendono sul serio l’ex alleato dell’Asse e salgono sull’ultimo treno per Brandeburgo scomparendo nella notte lasciandosi alle spalle la città che chissà quando riusciranno a raggiungere. Vasco, imprecando sui caratteri minuscoli dalla mappa delle U-Bahn che ha recuperato e chiedendosi come mai prima di allora non avesse avuto problemi a leggere da vicino, riesce attraverso un complicato giro di intersezioni delle varie metropolitane berlinesi a guidare il resto della comitiva verso il centro. Dal finestrino vede scorrere le fermate che attraversano quelli che erano i sobborghi di Berlino Est, alcune stazioni sono all’aperto e sferzate dal nevischio che si comincia ad accumulare su edifici e portantini che portano ancora segni evidenti di quello che era il design urbano del socialismo reale. La metropolitana infine attraversa in qualche punto la Sprea, valicando il confine oggi immaginario dell’area d’influenza sovietica ed entrando nei quartieri occidentali. Uscendo dalla U-1 si trova di fronte l’imponente edificio dei KaDeWe, Kaufhaus des Westens, i Grandi Magazzini dell’Ovest, un nome che racchiude tutta la suggestione della storia recente di Berlino. Un tempo, non molti anni prima, i KaDeWe simboleggiavano il consumo opulento di Berlino Ovest, regno della ricchezza e dell’abbondanza, o almeno così funzionava il messaggio, contrapposto agli austeri stenti dell’Est. E’ proprio il continuo dipanarsi sotto i suoi occhi dei segni di quella contrapposizione che alimenta il fascino di Berlino per Vasco, figlio di una generazione che in quella contrapposizione è cresciuta ed è stata educata. All’insegna del Muro, possente, invalicabile, separatore di due mondi contrapposti e alternativi, certamente diversi. Allora sì “un altro mondo era possibile”, dal di qui e dal di là dal Muro, anche se, almeno dal di qui, l’altro mondo non appariva molto desiderabile.

KaDeWe - I Grandi Magazzini dell'Ovest Berlino, 11 marzo 2006

E’ sempre più difficile per Vasco trovare in questa città le tracce del suo coetaneo abbattuto in quel 9/11/1989. Quando ne intravede la memoria vede un po’ anche una parte di sé stesso. Nell’ultima sua visita di Berlino alcuni anni prima la trama del Muro era ancora leggibile nel dispiegarsi degli enormi cantieri delle zone di confine centrali della ex Berlino Est. Ora buona parte dei lavori erano terminati anche se i cantieri si erano spostati in nuove zone della città. Però Berlino, ora che i vecchi confini geopolitici erano quasi scomparsi e che la città era tornata ad essere la capitale della Germania, gli sembrava perfino più interessante. Certo la ricerca delle “tracce” del passato recente era adesso più difficile ma, sorprendentemente e ancora più spettacolarmente, un passato ancora più antico stava affiorando dopo l’abbattimento delle barriere tra le due città della guerra fredda: la trama urbanistica ed architettonica della Berlino prussiana era diventata visibile, riesumata nella sua imponenza ora che la Unter den Linden sfociava senza soluzioni di continuità, al cospetto del Reichstag ristrutturato, nella immensa e sterminata prospettiva della Strasse der 17 Juni.


Panorama della Unter den Linden dalla Fernseheturm di Alexander Platz

Il percorso di questa trasformazione è stato veloce se si pensa a cosa è successo a Milano negli stessi 15 anni (nulla) ma si coglie anche in qualche modo una lentezza, come lento è stato il riemergere di questa città dalle distruzioni terribili della seconda guerra mondiale. Una lentezza che Vasco intravede nei volti e nei vestiti un po’ dimessi che si osservano al di fuori delle zone più centrali di quella che era Berlino Est. Vasco si chiede come sia possibile che lo stesso popolo, nella stessa terra, mantenga delle differenze così visibili per una durata ormai quasi superiore a quella della separazione stessa. La risposta che Vasco stesso si dà è clintoniana: it’s the economy, stupid!. Ma la lentezza nella velocità del cambiamento è anche nei continui cantieri presenti, nella perdurante chiusura dei musei della Museum Inseln e nella attesa di nuove trasformazioni che verranno. Lentezza è anche nell’aspetto pre-Muro, quasi anni sessanta, che adesso aleggia in quelle che erano le zone centrali della ex Berlino Ovest nei pressi dei KaDeWe. Lentamente, inesorabilmente, queste hanno perso la centralità di una volta ed ormai sono sopravanzate dallo sfavillante modernismo degli architetti top della nuova Postzdamer Platz.

Resti del Muro presso la Postzdamer Platz Berlino, 11 marzo 2006

Il nuovo Museo dell'Olocausto nei pressi di Postzdamer Platz Berlino, 11 marzo 2006

Il nuovo Bundestag, precedentemente Reichstag Berlino, 12 marzo 2006


Vasco ripercorre questi itinerari durante il weekend sotto una nevicata infinita, copiosa, a tratti quasi una bufera, a tratti illuminata da un pallido sole, con la temperatura costantemente sotto lo zero. Date le condizioni climatiche visita alcuni dei Musei che gli mancavano anche se molti risultano ancora chiusi per lavori. Visita, oltre al volutamente inquietante Museo dell’Olocausto, il Pergamon Museum con il celebre altare di Pergamo e con colorate ricostruzioni assiro-babilonesi. La sera ordina in una trattoria vicino ad Alexander Platz uno stinco di maiale ma incespica sulla traduzione e non capisce bene la risposta del cameriere e si vede arrivare un gigantesco stinco bollito Eisbain invece del molto più succulento stinco al forno Schweinshachse. Trova lo stinco bollito estremamente stucchevole. Quello che gli servono è enorme e lo mangia tutto solo per rispetto del suo precetto di non lasciare mai avanzi nel piatto. Nulla di paragonabile ai meravigliosi Schweinshachsen che aveva degustato più volte nel quartiere di Sachsenhauser di Francoforte accompagnati rigorosamente da fiumi di Sidro (vietata la birra!). All’indomani si mette in coda per la visita del Bundestag ristrutturato, che lui preferisce chiamare con il suo nome storico, il Reichstag, salendo sulla nuova cupola di vetro tra folti gruppi di giovani russi nipoti dei soldati dell’Armata Rossa che sessant’anni prima sfilavano sotto questo edificio vittoriosi. Dall’alto della cupola vede le statue che sopravvivevano nel maggio 1945 sull’edificio annerito con sullo sfondo i tank sovietici e le macerie di Berlino. Solo un paio di anni prima il terzo Reich avanzava inesorabile e sembrava indistruttibile. Tutto sembrava perduto. Eppure, nel giro di tre anni, un fotografo ebreo russo, Evghenij Khaldej, sarebbe salito lì, nella posizione nella quale più o meno si trovava ora Vasco, ed avrebbe fotografato la bandiera rossa sul Reichstag, la fine della guerra e la fine del nazismo. Quarantaquattro anni dopo, poco lontano, in vista delle celebrazioni per il quarantesimo anniversario della Deutsche Demokratische Republik, Erich Honecker, segretario della SED, avrebbe proclamato che il Muro sarebbe durato altri cento anni. Durò invece poco più di cento giorni e, il 9/11/1989, il Muro sarebbe stato abbattuto e la DDR scomparì con lui. Berlino invece è sempre lì, grande e affascinante come sempre, a ricordarci quanto mutevoli e imprevedibili siano i rivolgimenti della Storia. Un Grande Magazzino del Mondo che ne custodisce i suoi eterni insegnamenti.

Particolare della facciata del Reichstag Berlino, 12 marzo 2006

domenica 1 novembre 2009

Foliage in Ticino: Valle di Blenio, Svizzera


Salendo verso Orsera, Valle di Blenio, Svizzera, 31/10/2009


Tranquillamente visitabile in giornata da Milano, la valle di Blenio è raggiungibile dall’autostrada del Gottardo, uscendone pochi km. dopo lo diramazione di Bellinzona. Da Biasca, all’uscita dell’autostrada, a 300 metri di altitudine, la valle sale molto lentamente e dolcemente fino ai 1900 metri del Passo del Lucomagno, valico di transito tra Canton Ticino e Grigioni, o fino alle alture intorno a Campo Blenio, dopo Olivone, fino a circa 1600 metri. Vasco la considera uno dei posti migliori dove osservare il foliage, il dispiegarsi dei colori autunnali, dopo il Quebec ed il New England e, probabilmente, l’isola di Hokkaido. Ne apprezza la “normalità” di valle alpina tradizionale, fatta di gente che vi vive e lavora, non da seconde case sfitte, in un paesaggio aperto e dominato anche a fondovalle da tranquilli pascoli e campi lambiti dai boschi. Tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre (il periodo migliore varia a seconda dall’andamento della stagione, per es., in questo autunno 2009 la stagione sembra leggermente più tardiva rispetto al 2008) vi si possono osservare tutte le gradazioni dei colori autunnali date dagli alberi prevalenti alle diverse altitudini, percorse integralmente e con gradualità dalla tranquilla strada che la attraversa: i castagni, le querce e gli aceri alle quote più basse, i carpini e le betulle che accompagnano i boschi più elevati dove esplode infine il giallo intenso dei larici. I colori possono essere osservati mentre si percorre la strada, prima a fondovalle e poi risalendo verso il Lucomagno con ampie vedute sulla vallata chiazzata di colori variopinti.

Lungo la valle di Blenio 25/10/2008

Scorci presso Olivone Valle di Blenio, Svizzera, 31/10/2009

Nei pressi di Campra si può lasciare l’auto e percorrere a piedi uno dei numerosi sentieri che percorrono i pascoli ed i boschi in quota. Qui nei mesi invernali viene attrezzata una delle migliori piste da sci di fondo di questa zona delle Alpi. Vasco l’ha percorsa diverse volte, rischiando il congelamento degli arti quando ha affrontato l’impegnativo percorso nei mesi centrali dell’inverno, quando il sole rimane costantemente occultato dietro le alte cime. Proprio per questo l’innevamento è piuttosto buono permettendo finalmente di percorrere la pista al meglio verso la fine dell’inverno quando l’altopiano viene finalmente risvegliato dal sole. Da Olivone, in alternativa alla ascesa al Lucomagno, si può svoltare in direzione di Campo Blenio dove, dopo un tunnel, una stradina risale verso Orsera. Nel periodo del foliage questa stradina, che si immerge in un esteso lariceto, viene avvolta da un giallo fiammeggiante che contrasta con la neve che comincia ad imbiancare le alte cime intorno. Si può lasciare in qualsiasi punto l’auto e camminare tra i larici o risalire verso punti panoramici in cresta, ad altitudini comprese tra 1700 ed oltre i 2000 metri di altitudine.


Ruscello presso Campra Valle di Blenio, 25/10/2008

Panorama sul lariceto presso Orsera, m.1700 Valle di Blenio, 31/10/2009

Panorama di Olivone dalla strada per il Lucomagno 25/10/2008

Riscendendo a valle Olivone, principale paese della parte alta della vallata, offre diverse interessanti proposte gastronomiche, tra cui alcuni allevatori che vendono gli ottimi formaggi della zona, una interessante macelleria ed una buona trattoria, citata anche da Slowfood, l’Osteria Centrale.

Osteria Centrale, Olivone (Canton Ticino, Svizzera) – (31/10/2009) PROSEC
(dettagli sulla classificazione in http://vascocesana.blogspot.com/2009/04/la-classifica-di-vasco-cesana-del.html)
Accogliente trattoria che valorizza i prodotti del territorio, soprattutto carni, formaggi e salumi, ideale come sosta nel corso di un’escursione nella Valle di Blenio. Vasco l’ha provata sia a pranzo, dove ne ha apprezzato gli ottimi insaccati e formaggi, sia, un paio d’anni prima, a cena, quando ha assaggiato gli eccellenti gnocchi di ricotta d’alpeggio al burro e salvia. A pranzo la scelta di piatti era un po’ limitata, in particolare per la consorte vegetariana, ma è stato favorevolmente colpito in particolare dalla mortadella, fresca e saporita, quasi una via di mezzo tra una mortadella ed una salsiccia, la definirebbe una mortadella “salsiccevole”, e da un formaggio veramente notevole per rotondità ed aggressiva dolcezza, l’Alpe Pertusio invecchiato due anni nella fresca e aerata cantina dell’Osteria, ben accompagnato dal buon Merlot del Ticino della casa.

Panorama dell'alta valle di Blenio, Canton Ticino, CH 25/10/2008