giovedì 23 dicembre 2010

Stille Nacht in streaming dalle Grotte dei Pastori di Betlemme


Grotta dei Pastori Betlemme, 2010

Riproduciamo qui uno dei più classici dei canti natalizi, Stille Nacht, nella versione francese, Voici Noël. Vasco Cesana l'ha registrata non in un posto qualsiasi, ma direttamente nelle Grotte dei Pastori di Betlemme, in occasione della sua viaggio in Terrasanta. Il canto è eseguito da alcune donne cristiane palestinesi che Vasco ha avuto la fortuna di ascoltare in una mirabile sequenza di cori natalizi. Che si immagina irradiare i loro auguri con la forza delle origini: la semplicità...Buon Natale!

sabato 18 dicembre 2010

Mangiatoia con Frosone

Frosone (Coccothraustes Coccothraustes) - in the garden, 18 dicembre 2010
Con il freddo, e che freddo, Vasco Cesana riprende ad alimentare la mangiatoia per gli uccelli nel suo giardino brianzolo. Nei periodi normali questa pratica secondo lui va evitata perchè gli animali devono mantenere la loro selvaticità e non perdere l'istinto per reperire il cibo in natura. Tra dicembre e febbraio, soprattutto quando le temperature precipitano abbondantemente sotto lo zero, il cibo delle mangiatoie rappresenta però per loro quasi l'unica risorsa alimentare e può assicurare la sopravvivenza a diversi uccelli svernanti. Il traffico alato intorno alla mangiatoia di Vasco nel corso dell'inverno si fa via via più intenso e, luce permettendo, la fotografia dei Winter Garden Birds può essere un passatempo piuttosto rilassante e divertente.

Frosone - in the garden, 18 dicembre 2010

Probabilmente per effetto del freddo intenso di questa metà dicembre 2010 per la prima volta la mangiatoia è stata frequentata anche da un bell'esemplare di Frosone. Il Coccothraustes Coccothraustes è un uccello abbastanza diffuso in Lombardia ma non si lascia vedere molto facilmente anche perchè tende a frequentare le parti più alte degli alberi ed è generalmente piuttosto selvatico. E' stata quindi una sorpresa per Vasco vederlo per la prima volta entrare nella mangiatoia e farsi una scorpacciata di semi e noci. In passato aveva frequentato un paio di volte il giardino ma mai si era avvicinato alla mangiatoia e tanto meno vi era entrato avendo preferito triturare qualche germoglio con molta circospezione. Visto da vicino il becco del Frosone è veramente impressionante, tanto che alcuni testi lo definiscono uno "spaccanoci volante". Finita la mangiata, questa volta facilitata dal fatto che le noci erano già state sminuzzate con cura, il Frosone, satollo, si è riposato a lungo sul carpino. Anche per lui l'inverno è ancora lungo. E ricco di interesse per il viaggio ad emissioni zero. Anche a -9°!

Frosone nella mangiatoia - in the garden, 18 dicembre 2010



Frosone - in the garden, 18 dicembre 2010




domenica 5 dicembre 2010

Un menu tutto a base di Luganega

La luganega di Monza è più chiara e più larga delle normali salsicce Brianza, novembre 2010

Di luganega si parla in diverse zone del Nord Italia. In tutti i casi ci si riferisce ad una ospite sempre gradita e benvenuta dei menu, soprattutto nella stagione fredda: la salsiccia. Vasco Cesana, che ha un debole anche per le salsicce, ha provato qualche volta non solo ad ospitarla in un menu ma a farla diventare protagonista, preparando un menu tutto a base di luganega, declinandola in diverse preparazioni. Essendo la luganega molto socievole in effetti le preparazioni potrebbero essere moltissime e così i menu a tema ma per questa volta si atterrà ad una sequenza piuttosto semplice e non troppo elaborata. La salsiccia usata da Vasco per le sua proposta di menu è la luganega così come viene intesa nella Lombardia settentrionale, ovvero nella variante che in Brianza viene chiamata anche salsiccia di Monza. Quella propriamente detta, preparata nel modo tradizionale che Vasco aveva visto a casa della nonna nella Brianza monzese, è molto più larga delle normali salsicce, con un diametro almeno doppio, e molto più chiara, con un colorito che tende al bianco rosato, più o meno quello naturale del maiale, invece che al rosso. Trovarla non è facile, anche in Brianza, e sono pochi i salumieri o macellai che ce l’hanno, men che meno i supermercati. Negli ultimi tempi pare però che si sia risvegliato un po’ l’interesse per la luganega tradizionale e tra i protagonisti di questo risveglio vi è proprio uno dei fornitori preferiti da Vasco Cesana, il Mini Market Delle Carni di Verano Brianza, in via Grandi 56, non distante dalla statale 36, i cui Ravioli alla Luganega prodotti con marchio registrato hanno trovato eco anche su alcuni giornali nazionali. Vasco li ha provati e li ha trovati ottimi, da provare, esclusivamente nella versione con burro e salvia e aggiunta di abbondante parmigiano, un equilibrio di sapori che valorizza la luganega senza sopraffarla. A seconda delle preparazioni infatti la luganega può presentarsi o estremamente delicata o piuttosto aggressiva. Questa versatilità, questa si potrebbe quasi dire femminilità, è proprio una delle cose della luganega che più ingolosiscono Vasco e che è alla base della sua declinazione nel menu. Il menu infatti deve svilupparsi a partire dalla luganega nelle sue vesti più “delicate” per arrivare a quelle più “aggressive”. Per iniziare, la luganega può essere assaggiata nature, cruda, spalmata su fettine di pane, ancor meglio se su cracker di pane azzimo: si scopre così il suo lato delicato avvolto nella morbida opulenza dei grassi. E’ una introduzione, una mise en bouche, servita o mentre si beve l’aperitivo o già a tavola. L’aperitivo naturalmente deve accompagnare bene i delicati bocconcini di luganega. Vasco non ha dubbi, l’ideale compagno è lo champagne, non necessariamente di quelli più impegnativi, possibilmente fresco e giovane, ad esempio quello commercializzato da Auchan in Francia con il marchio “Veuve Emille” a meno di €.15 a bottiglia andrebbe benissimo. Peccato che non sia commercializzato in Italia.
Le bollicine continuerebbero a fare il loro dovere anche con la preparazione scelta da Vasco come entrée: le polpettine di luganega con le verze. La preparazione delle polpettine inizia dalla bollitura delle verze che si ammorbidiranno in acqua bollente salata, privandone le foglie più grosse della nervatura centrale. Quindi, con le foglie di verza bollite e tagliate, viene preparato un impasto con pane grattato, farina, e abbondante luganega a pezzettini. Le polpettine saranno così pronte per essere fritte in olio, meglio se biologico di semi di mais, in pochi minuti.
Frittura delle polpettine di luganega con le verze Novembre 2010
Dopo una breve asciugatura si adagiano nel piatto su un letto di verze, preparato con le verze bollite avanzate e fatte saltare brevemente in un soffritto con poco scalogno. Verze e luganega sono due ingredienti tipici della cucina brianzola della stagione fredda, in un abbinamento che qui cerca un equilibrio ancora abbastanza delicato tra le umidità della verza, i grassi trattenuti della salsiccia e la croccantezza delle polpettine.
Come plat principal del menu Vasco sceglie una ricetta classica tradizionale della zona di Monza: il risotto con la luganega al vino rosso. Per la sua preparazione segue la ricetta della nonna, che prevede la preparazione del soffritto con abbondante burro, mezza cipolla o uno scalogno a fettine, e la luganega, o almeno una parte di essa, sminuzzata. Subito dopo l’aggiunta del riso il tutto viene cosparso da abbondante vino rosso. Il vino scelto da Vasco è un barbera piuttosto giovane, di due anni, il Barbera d’Asti Fiulot di Prunotto, un vino con un buon rapporto qualità/prezzo facilmente reperibile anche al supermercato. Lo stesso vino accompagnerà la degustazione del risotto. Dopo l’evaporazione del vino, il fuoco va abbassato ed il riso va mescolato continuamente con un cucchiaio di legno aggiungendo a poco a poco il brodo, che per questa volta sarà un semplice brodo di dado vegetale e unendo, verso la fine, alcuni pezzi di formaggio, ad esempio di Casera. Secondo Vasco il risotto di luganega, come tutti i risotti un po’ ricchi e carichi, va mangiato come plat principal, non come primo all’italiana, perché dà una sensazione di sazietà che, se ben preparata dalle entrée, completa da sola nel modo migliore il pasto, infondendo quella sensazione di calore particolarmente gradita soprattutto nella stagione fredda. Per arricchirne ulteriormente comunque la fisionomia di piatto principale Vasco aggiunge sopra il risotto nel piatto alcuni bei tocchetti di luganega lasciati da parte e fatti saltare in un tegame con poco olio. Rilasciando i loro grassi i bocconcini di luganega acquisiranno infine un po’ della sua aggressività latente. Il risotto ne sarà ulteriormente ravvivato ed il semplice menu avrà così esplorato un po’ più a fondo le tante sfumature di gusto che una semplice corda di luganega sa esprimere.

Risotto con luganega al vino rosso Novembre 2010

domenica 14 novembre 2010

Sulla via del ritorno: Osaka e il Manzo di Kobe

Osaka, quartiere di Dotombori 23 agosto 2010

(segue “Alla scoperta dell’Honshu settentrionale, Giappone”)

“How hot the sun glows,
Pretending not to notice
An autumn wind blows!”
(tratto da “A Haiku Journey, Basho’s Narrow Road to a Far Province” traduzione in inglese di Dorothy Britton, ed. Kodansha 2002)

Matsuo Basho scrisse questo haiku lasciando, nel 1689, Kanazawa, una delle sue ultime tappe sulla via del ritorno dall’Honshu settentrionale e dalla sua “Narrow Road to a Far Province”.


Anche per Vasco Cesana e consorte Kanazawa è stata l’ultima località visitata tornando dall’Honshu settentrionale sulla via per Osaka, il Kansai International Airport ed il volo di ritorno per l’Italia. Sostano comunque due notti a Osaka, pernottando allo Swissotel Nankai presso la Namba Station, proprio in mezzo ad uno dei quartieri più vivaci di Osaka, che ospita una movida tra le più strambe del Giappone in un caleidoscopio di luci, locali e fauna umana veramente variegata. Da vedere. E’ una buona zona anche per un giro di shopping prima del ritorno. Il posto da perlustrare alla ricerca di affari è Daiso, il negozio con tutto a 100 Yen (attualmente pari a circa 90 cent. di Euro) che in questo quartiere di Osaka offre ben 5 piani di ogni genere di mercanzia, dai pupazzi al set completo di stoviglie per la casa. Se si è fortunati si possono trovare anche servizi da the ed altri generi casalinghi in stile giapponese veramente interessanti.

La vita notturna è molto pulsante e ci sono diversi ristorantini di tutti i tipi. Vasco ha provato qui uno dei locali dove il menu è costituito esclusivamente da spiedini (kushikatsu) dove i giapponesi vanno di solito per accompagnarli alla birra.
Per gli occidentali in Giappone, anche nelle grandi città come Osaka, è sempre difficile capire, nell’ordine: 1) se il locale è un ristorante; 2) di che tipo di ristorante si tratti (ci sono decine di tipi di ristoranti specializzati in particolari tipi di preparazioni); 3) se è il ristorante che si sta cercando. Vasco, dopo varie ricerche e verifiche, ha provato qui il ristorantino, in Italia si direbbe un’osteria in senso tradizionale, ITOKU, in fondo a Dotombori dove la scelta di spiedini fritti da assaggiare era sterminata, dalle uova di quaglia alle capesante, dalla salsiccia piccante ai gamberoni, dai funghi ad una quantità di verdure, sbranando un totale di ben 26 spiedini in mezz’ora accompagnati da due bei boccali di ottima birra Asahi alla spina ghiacciata. Una cena molto appetitosa, eccellenti in particolare gli spiedini di polpo fritto, per un conto inferiore ai 30 euro. Da provare assolutamente. Anche per l’insospettabile digeribilità del tutto.
Kushikatsu Osaka, 22 agosto 2010
Nelle vicinanze Vasco ha provato un classico dei divertimenti giapponesi, il karaoke, scoprendovi diversi aspetti interessanti. I locali sono, ovviamente, ben organizzati, la scelta dei pezzi musicali è facile e comprende tutti i classici del rock, gli impianti stereo sono di alta qualità, la birra servita è ottima e si può fumare all’interno liberamente. Unico neo, i video sugli schermi, con ridenti coppiette a passeggio in un giardino giapponese fiorito che accompagnano, ad esempio, Sweet Emotions degli Aerosmith. Dopo un inizio un po’ incespicante sui Police ed Elton John, Vasco, alla quarta birra Asahi della serata, infila una esecuzione quasi degna di Grace Slick di White Rabbit dei Jefferson Airplane. O almeno così gli è sembrato.

L’ultimo giorno di Vasco in Giappone doveva essere rivolto alla visita del Castello di Himeji a circa un’ora di treno da Osaka ma in albergo gli dicono che anche questo castello, che si dice essere il più bello del Giappone, risulta chiuso per ristrutturazione e verrà riaperto nel 2011. Il castello di Osaka, visitato come sostitutivo, comunque è stato superiore alle aspettative e con interessanti ricostruzioni storiche, in particolare quella della battaglia finale tra i clan di Toyotomi e quello poi vincente dei Tokugawa. Se per forza maggiore Vasco ha dovuto rinunciare al castello di Himeji ad un’altra attrattiva della zona non ha voluto assolutamente rinunciare: il Manzo di Kobe. Fin dai tempi del primo viaggio in Giappone Vasco voleva provare questa carne leggendaria che si vuole essere il risultato di allevamenti selezionatissimi condotti coprendo di attenzioni i manzi, foraggiandoli con speciali alghe marine, abbeverandoli a birra e massaggiandoli continuamente. Vere o no che siano queste storie quello che è certo per Vasco è che questa pregiata carne, il cui prezzo può arrivare nell’ordine dei 100 euro all’etto, l’aveva sempre incuriosito, essendo attirato dalla particolare disposizione “diffusa” dei grassi, in quella che viene chiamata la “marmorizzazione” delle carni. Prenota così una cena con un menu a base di Kobe Beef al ristorante Minami dello Swissotel, un ristorante di tipo Teppanyaki, cioè specializzato in carni e pesci alla piastra, di alto livello.

Teppanyaki Minami Osaka, 23 agosto 2010

Vasco Cesana assaggia il suo primo manzo di Kobe in versione sashimi, con alcune fettine sottili crude servite con verdure e salsa di soya. Afferra con i bastoncini la prima fettina, ne osserva il bel colorito rosso e ne legge la trama di filigrane di grasso che la attraversa. Non la intinge in nessuna salsa e la porta alla bocca lentamente, adagiandosela con deferenza. Il manzo si culla nel palato, quasi come se cercasse un ultimo massaggio, sciogliendosi con discrezione e persistenza. La portata principale è la Tenderloin steak di manzo di Kobe, una bistecchina di non più di 100 grammi che viene solo scottata per meno di un minuto sulla piastra. Una cottura più lunga sarebbe delittuosa perché ne avvilirebbe le proprietà, compromettendo il faticoso e raro equilibrio di grassi che la caratterizza. Il passaggio sulla piastra rende il manzo leggermente più aggressivo, ma subito la carne si adagia liberando la morbidezza dei grassi che avvolgono il palato con seduttiva persistenza. Veramente notevole. Da provare, nonostante il costo del menu nell’ordine dei 150 Euro e le quantità un po' ridotte. Ringraziando il cuoco ed accomiatandosi dal ristorante e, poche ore dopo, dal Giappone, ripensando all’itinerario che l’ha portato sul percorso di Basho nell’Honshu settentrionale per terminare qui, nel Kansai, al cospetto del Manzo di Kobe, Vasco Cesana, dedica a quest'ultimo un piccolo componimento, che questa volta rispetta alcuni dei requisiti metrici degli haiku:

“Fettine sottili
avvolgeste il palato
di mille massaggi”

Manzo di Kobe servito crudo al Ristorante Minami Osaka, 23/8/2010

sabato 6 novembre 2010

Un bento box a 300 km/h: da Aamori a Kanazawa

Dallo Shinkansen per Tokyo Giappone, 20/8/2010

(segue “Alla scoperta dell’Honshu settentrionale, Giappone”)

Andare in treno da Aamori, nell’estremo nord dell’Honshu, a Kanazawa, nella parte centro meridionale dell’isola, è un po’ come andare, in Italia, dall’altoatesina Dobbiaco alla pugliese Peschici. Se fatto in treno, un tragitto che in Italia farebbe tremare i polsi anche al più affezionato dei clienti delle FS. In Giappone, invece, il percorso, che richiede oggi almeno quattro cambi di treni, può essere affrontato con un sereno approccio zen. Dal 4 dicembre 2010 inoltre, come pubblicizzato ovunque, Aamori sarà collegata con treni proiettile Shinkansen direttamente a Tokyo, cosa che modificherà di molto la fruibilità della parte più settentrionale dell’Honshu che ancor oggi risulta piuttosto decentrata. Vasco Cesana e consorte percorrono le tratte Aamori-Hachinohe, Hachinohe-Tokyo, Tokyo-Maibara, Maibara-Kanazawa partendo alle 9,46 ed arrivando a Kanazawa alle 18,53 esattamente all’ora prevista. I ritardi per tratta sono stati inferiori ai 5” (secondi) consentendo di prendere con assoluta tranquillità anche coincidenze con un intervallo di pochi minuti. Un servizio perfetto nel contesto di una profusione di inchini e sorrisi del personale di bordo e di una precisione maniacale nella pulizia, nell’assegnazione dei posti e nella organizzazione degli imbarchi. Sullo Shinkansen per Tokyo, guardando il paesaggio sfrecciare dal finestrino ad una velocità nell’ordine dei 300 km/h, Vasco scopre anche la bontà dei bento box venduti in carrozza: c’è perfino un nome apposito per questi pasti serviti sui treni, Ekiben, offerti in speciali contenitori tipici delle località attraversate nel quale vengono dispiegate con eleganza le specialità del posto. Un po’ come se, partendo da Dobbiaco, le FS servissero i canederli ed, entrando in Puglia, offrissero le orecchiette con le cime di rapa. Vasco assaggia così il Kokeshi-Bento, servito solo sugli Shinkansen in partenza da Morioka, lasciandosi affascinare dall’estetica golosa di questi cibi che viaggiano a 300 km all’ora ma che arrivano da tradizioni culturali e gastronomiche millenarie.
Stazione di Kanazawa (foto della consorte) 21/8/2010
Castello di Kanazawa 21/8/2010

Giardini di Kenroku-en Kanazawa, 21/8/2010

Monaci scintoisti in visita ai Kenroku-en (foto della consorte) Kanazawa, 21/8/2010
Kanazawa viene promossa dagli uffici del turismo locale come un esempio di mirabile integrazione, anche urbanistica, tra modernità e tradizione. Vasco trova che, per una volta, i messaggi di promozione turistica corrispondono alla realtà: i quartieri centrali moderni sono molto piacevoli, con ampi marciapiedi, viali alberati, panchine, insomma molto ben tenuti ed ospitali. L’esempio migliore di architettura moderna funzionale e gradevole è la stazione: un monumento alla razionalità ed alla comodità coniugato in un complesso esteticamente azzeccato. Dai binari si entra direttamente in una ampia area, con i servizi allineati a bar, negozi e ristoranti dalla quale si esce poi in una piazza dove troneggia un Tori stilizzato ed intorno al quale si sviluppano due cerchi dove si dispongono con ordine e cronometrico via-vai in uno i bus e nell’altro i taxi, con a lato una lunga fila di biciclette a noleggio ed intorno alla piazza hotel e shopping center. Le auto private sono praticamente scomparse da questo contesto urbano evoluto in quanto semplicemente inutili. I quartieri tradizionali, i tre quartieri delle geishe (Chaya-gai), quello dei samurai ed altri sono piuttosto piccoli ma molto ben tenuti.
A Kanazawa c’è anche uno dei tre giardini considerati più belli del Giappone il Kenroku-en, da visitare, preferibilmente non nei weekend, quando c’è molta gente. Pur essendo molto suggestivo secondo Vasco non raggiunge il fascino assoluto di alcuni giardini di Kyoto.
Ragazza in viaggio con topolino (foto della consorte) Kanazawa, 21/8/2010

quartiere di Higashi Chaya-gai (foto della consorte) Kanazawa, 21/8/2010

Anche questa volta a Kanazawa, come due anni prima a Kyoto, Vasco non riesce a vedere neanche una geisha. Non riesce neppure a cenare al ristorante Zeniya, uno dei più celebrati del Giappone, guidato dal noto cuoco Shinichiro Takagi. Un po’contrariato, Vasco si avvia in serata, insieme alla consorte, verso l’hotel. Casualmente, si imbattono, ormai non lontani dalla stazione, in una festa di celebrazione del tempio scintoista del quartiere, dove, unici occidentali, assistono ad una sfilata di donne in kimono che cantano accompagnate da flauti e delicate percussioni. Uno spettacolo di vero esotismo orientale. La moderna stazione è la, ma antiche note tradizionali echeggiano nell'aria umida di fine agosto. Le donne e le ragazze presto si sfileranno i loro kimono per rimettersi le loro minigonne ed abiti griffati. Ancora modernità e tradizione. Ancora fascino.

(segue)

Passeggiata serale per Kanazawa (video della consorte) 21/8/2010

domenica 17 ottobre 2010

All’estremo nord dell’Honshu: Hakkoda-san e Sukayo Onsen

Sulla cima dell'Akakura-dake, Honshu settentrionale, Giappone, 19/8/2010

(segue “Alla scoperta dell’Honshu settentrionale, Giappone”)

Dopo Tsouroka la linea ferroviaria JR Uetsu prosegue lungo la costa occidentale dell’Honshu per poi rientrare dopo Akita verso l’interno in direzione di Aamori. Akita corrisponde al punto più a Nord raggiunto da Matsuo Basho nel ‘600 nella sua "Stretta via verso il profondo Nord”.
Quindi si può dire che Vasco Cesana e consorte si siano spinti ancora più in là del profondo nord di Basho anche se, ad onor di cronaca, lui si spostava a piedi e loro in treno, pur se su rotte non particolarmente veloci, anzi piuttosto lente.
Akita è nota in Giappone per essere ricca di belle ragazze, le cosiddette “Akita bijin”. Nella sua breve sosta nella città all'ora di pranzo, in attesa della coincidenza ferroviaria, l’attenzione di Vasco, ormai a questo punto del viaggio in crisi d’astinenza da carboidrati, invece di rivolgersi alle bellezze del posto, viene attratta irresistibilmente dalla seducente insegna “Savoir de France” e dalle forme sinuose e morbide dei suoi croissant e dalla generosità delle sue baguette che divora in un attimo.
Lungo la linea ferroviaria JR Uetsu, dintorni di Akita 18/10/2010
Per raggiungere il Sukayo Onsen Ryokan, la meta nell’estremo nord dell’Honshu, questa volta prenotata via Internet, sono necessarie altre due ore di treno da Akita più un’oretta di bus, se c’è. Con sorpresa, contrariamente alle indicazioni della LP (che riferisce di un ultimo bus alle 14,30), trovano uno splendente bus JR che li aspetta in coincidenza con il treno alle 15,30, per di più gratuito per i possessori del JR Pass. Il bus li accompagna nel Parco Nazionale di Towada-Hachimantai inoltrandosi in ampie vallate ricoperte da fitte foreste. Le cime coniche intorno rivelano l’origine vulcanica dell’area. Risaliti fino ad un’altitudine di circa 900 metri un lieve odore nell’aria di zolfo annuncia l’agognato Sukajo Onsen Ryokan, che fa capolino tra i boschi con i suoi edifici di legno disposti su diversi lati. Tutte le camere di questo grande ryokan sono in stile tradizionale giapponese, con il loro tatami, le loro sliding door, l’ampia finestra che nel caso di Vasco si affaccia su un ruscelletto di acqua termale, un buon the caldo con dolcetti pronto e riserva d’acqua gelata in thermos con ghiaccio, le yukata, leggere vestaglie estive, pronte per essere indossate dagli ospiti. Niente bagno né lavandino in camera. Indossata la fresca yukata e calzate le ciabatte d’ordinanza (in tutti i ryokan del Giappone è severamente vietato circolare con le scarpe che, di solito ed anche in questo caso, vengono sequestrate e fatte sparire alla reception) Vasco Cesana si reca a provare la famosa onsen del Sukayo. Non ci sono rotemburo (ed è un peccato, dato il magnifico contesto naturale del ryokan) ma diverse zone bagno interne, con al centro la grande sala che ospita l’onsen forse più grande del Giappone, la “onsen per mille persone” circondata da vasche più piccole, docce e vari getti di acqua termale, tutto rigorosamente in legno di cipresso giapponese! La grande vasca centrale è, caso piuttosto raro in Giappone, mista anche se, in occasione del primo bagno, l’unica donna presente in sala è la consorte. L’acqua è piuttosto calda, sui 43°, con un rilassante colorito chiaro ed una consistenza soffice, che avvolge nella morbidezza. L’odore di zolfo è leggero, appena percepibile, mentre l’acqua lascia addosso un gusto di limone. Dai getti che la immettono nella vasca principale è possibile assaggiarne qualche goccia (le istruzioni in inglese ne raccomandano al massimo due cucchiaini) …. è buonissima, sembra una limonata calda o un infuso di melissa limoncello. Dopo averla assaggiata, Vasco ha la sensazione impagabile di crogiolarsi in un infuso di erbe alpine.
La cena viene servita in camera con una profusione di piatti ed assaggi tra i quali anche probabilmente un brodo di coturnice. Portate molto ricche a compensazione del costo piuttosto alto per un ryokan con un numero di camere così elevato, nell’ordine di €.120 a persona per mezza pensione.


Zone umide in quota lungo il sentiero per l'Akakura-dake 19/10/2010

Ambiente montano nel Parco Nazionale Towada-Hachimantai, 19/8/2010

All’indomani la splendida giornata convince Vasco e consorte ad intraprendere la passeggiata delle tre vette intorno all’Hakkoda-san. La passeggiata ha inizio al termine della funivia dell’Hakkoda Ropeway distante 10’ in bus dal Sukayo dove si ritorna a piedi dopo un ampio giro intorno alle cime circostanti. Lungo il percorso di avvicinamento Vasco memorizza bene gli ideogrammi con le indicazioni in giapponese delle località e dei percorsi che desume dal foglio con gli itinerari che si è fatto consegnare. Dal punto di partenza a circa 1300 m.s.l.m. in poi il paesaggio, data anche la giornata limpidissima, è fantastico: il golfo di Aamori è ai piedi delle montagne con la sua grande mezzaluna accompagnata dal profilo costiero degli ultimi promontori di Honshu, di fronte, ben distinguibile, l’isola di Hokkaido e le sue cime più elevate in lontananza. A Vasco sembra quasi di scorgere, laggiù in fondo, la linea costiera siberiana ed il traghetto che collega l’estremo limite della massa continentale eurasiatica con l’isola russa di Sakhalin, poco oltre la giapponese Hokkaido. Dall’altro lato Vasco si immagina la sequenza da Hokkaido alla Kamchatka delle isole Kurili, ancor oggi contese tra Giappone e Russia. Il sentiero, ben segnalato anche se stretto tra gli arbusti in diversi punti con i pini mughi o simili che pettinano i capelli degli escursionisti, costeggia alcune magnifiche zone umide d’alta quota per poi risalire, più ripidamente, fino alla prima cima, l’ Akakura-dake, a m.1548. Da qui in poi, in saliscendi lungo le altre due cime, si costeggiano un paio di coni di crateri vulcanici spenti, almeno così dicono, ma ancora con qualche segno di attività. Un cartello, anche in inglese, invita a non lasciare il sentiero segnalando che, nel giugno 2010, un rilascio di gas venefici ha causato in zona un non meglio specificato incidente. Seguendo l’itinerario che si dirige direttamente a Sukayo Onsen dalla terza cima, l’Odake, m.1584, la discesa è piuttosto lunga e tortuosa attraversando nella parte centrale alcune rocce vulcaniche con odore di zolfo ed accenni di fumarole. Vasco, un po’ teso, scivola lungo un crinale sdrucciolevole pestando il quadricipite. Arriva comunque poi al Ryokan senza problemi a parte un notevole appetito. Complessivamente l’escursione, che ha un dislivello è di circa 500 metri in salita e di 900 metri in discesa, è tranquillamente fattibile con calma in circa 6 ore, incluse soste, foto e contemplazione del magnifico paesaggio ed ambiente naturale.

Vasco, nel pensare agli haiku che avrebbe potuto scrivere Basho se fosse arrivato fin qui, osservando il grande pino in lontananza accarezzato dalla frizzante brezza serale, si annota:
Fresca è la sera di fine estate,
presto le tue chiome
dalla neve saranno arquate


(segue)

domenica 3 ottobre 2010

Le montagne sacre di Dewa Sanzan

Dewa Sanzan, Haguro-san, la pagoda Goju-No-To 17 agosto 2010

(segue “Alla scoperta dell’Honshu settentrionale, Giappone”)

Haguro-san, Gas-san e Yudono-san, i tre monti sacri che costituiscono il Dewa Sanzan, sono tra i luoghi che più colpirono Matsuo Basho nel corso del suo viaggio nell’Honshu Settentrionale della fine del ‘600.
“When summer winds blow
in this blest South Vale, they bring
the cool fragrance of snow”
(“A Haiku Journey, Basho’s Narrow Road to a Far Province” traduzione in inglese di Dorothy Britton, ed. Kodansha 2002)
Diversi furono gli haiku che Basho compose qui, commentando, ai piedi del Haguro-san “the good emanating from this holy hill is most wonderful and awe-inspiring. It is a truly marvellous place and will surely prosper forever”.

Vasco Cesana arriva nella zona del Dewa Sanzan risalendo la costa nordoccidentale di Honshu da Niigata a Tsuruoka con la panoramica linea ferroviaria JR Uetsu, che costeggia il Mar del Giappone tra splendidi paesaggi e tranquilli paesi di pescatori. Anche se questa regione non è più così remota come ai tempi di Basho, le asperità del territorio sono ancora tutte lì e, non essendo collegata con treni Shinkansen, gli spostamenti in treno sono piuttosto lenti ed articolati. Vasco e consorte convengono così di limitare le tappe dell’itinerario inizialmente stabilito saltando, date le difficoltà di spostamento ed i non molti giorni a disposizione, le visite di Kakunodate e Hiraizumi. Dalla stazione di Tsuruoka un bus, in coincidenza con gli orari di arrivo dei treni, raggiunge in circa 45’ la zona dell’Haguro-san con capolinea sulla vetta. Arrivati lì, Vasco, senza prenotazioni per la notte, si mette alla ricerca, sotto una pioggia torrenziale, dell’ospizio per pellegrini Saikan, cercando di decifrare le indicazioni esclusivamente in caratteri giapponesi. Senza successo. Immersi tra vetusti alberi altissimi, diversi edifici e templi gli appaiono dalla nebbia ma nessuno di questi è il Saikan. Infine, ormai completamente fradicio, si aggira nella penombra di un giardino sul quale si affacciano alcune camere tradizionali giapponesi. Da una di queste gli appare, avvolta nel candore delle vesti bianche e rosse delle miko, le giovani assistenti dei sacerdoti scintoisti, una ragazza che lo saluta con un inchino e, con un sorriso che rigenera completamente l’intirizzito Vasco, gli chiede, con eleganza: “May I help you?” accompagnandolo poi ad una sorta di reception. La promettente accoglienza però si scontra poi con il fermo diniego delle altre miko:No rooms without a reservation!”. In effetti, nonostante l’ospizio sia, bellezze a parte, palesemente vuoto, la prenotazione è necessaria per dar modo alle ragazze di preparare la cena (rigorosamente vegetariana) per tempo, cosa che, nella disciplina dell’ospitalità giapponese non può essere assolutamente improvvisata.
Giardino dell'ospizio per pellegrini Saikan sul Haguro-san 16 agosto 2010
Vasco e consorte comunque trovano poi posto in un albergo-ryokan piuttosto grande a qualche km di distanza grazie all’intervento di una sveglia guida turistico-spirituale del posto molto abile nel capire il linguaggio dei gesti. Dopo aver decodificato le strane istruzioni che, con grande sforzo, cerca loro di dare in inglese il simpatico gestore ("b’fast, a.m. 30, 7 –d’er p.m.30, 18") Vasco e consorte si sistemano e, uscendo, rilevano che il luogo, nonostante l’edificio non sia un gran che, è molto bello. Particolarmente piacevole è la passeggiata che dall’albergo costeggia un laghetto tra boschi e canneti illuminati dagli squarci di sole che si fanno strada tra i nuvoloni che si stanno velocemente dileguando. Nel vicino centro visitatori del Gas-san Vasco ha un’altra prova che l’ospitalità di questi luoghi ha pochi eguali al mondo: nel guardare le riproduzioni di uccelli lì esposte esprime apprezzamento per una graziosa cincia giapponese, un pezzo unico non in vendita. Al momento dell’uscita viene inseguito dalla ragazza che gestisce il centro, che gli offre in dono la cincia… Vasco Cesana, incamminandosi lungo il sentiero del lago tra gli aceri giapponesi, ringrazia con questo pensiero zen:

Luce tra le frasche fradice
immobile la cincia ci segue
sublime ospitalità


La mattina successiva, sotto un bel sole limpido, è dedicata alle visite ed alla salita all’Haguro-san, percorrendo i 2446 scalini che portano alla vetta. Prima di iniziare, riscesi al paese a valle, visitano l’interessante Museo Ideha Bunka Kinenkan. Anche se non c’è una parola in inglese, è da vedere, perché consente, tramite filmati, foto e rappresentazioni varie, di farsi un’idea delle celebrazioni e delle festività degli Yamabushi, monaci-asceti di queste montagne, e delle loro temibili pratiche spirituali. Pare che, tramite il personale del museo, si possa anche organizzare la partecipazione a qualcuno dei corsi di ascetismo che, a costi prossimi a quelli dei più lussuosi resort, propongono una vacanza all’insegna di: pernottamenti all’addiaccio, meditazioni nell’acqua gelata, sveglia alle 4,30 del mattino con corsa in montagna e digiuno. Concetto quest’ultimo che fa desistere Vasco dallo svolgere ulteriori ricerche in materia. Alcune immagini di consunte scale a pioli pendenti tra le rocce, riprese lungo il sentiero tra il Gas-san e lo Yudono-san, lo convincono anche definitivamente a non fare il circuito completo delle tre cime. Le guide, inclusa la LP, non sembrano sufficientemente chiare sulla difficoltà dell’itinerario. Da notare anche che, per tornare via bus dalla terza cima bisogna seguire una direttrice stradale completamente diversa che non transita dalla zona dell’Haguro-san. Dall’idea che si è fatto Vasco il percorso completo delle tre cime è fattibile, prevedendo due pernottamenti, solo se si è dotati di scarponi da montagna e si è in possesso di buone cartine e informazioni su condizioni meteo e su orari e coincidenze dei bus.


Lungo la scalinata per Haguro-san Dewa Sanzan, 17 agosto 2010

Fare anche solo la scalinata per l’Haguro-san comunque vale il viaggio. Tutto il percorso è immerso in giganteschi cedri del Giappone vecchi di oltre 500 anni. Il primo tratto, in discesa e poi in falsopiano attraverso ruscelli, tempietti, antichi ponti e cascate, è magnifico. Poi, il materializzarsi in perfetto mimetismo tra i cedri del profilo della pagoda a cinque piani di Goju-no-to, una pagoda buddhista del’300 in legno originale mai restaurato, offre una delle visioni forse più ricche di fascino e di esotismo dell’intero Giappone e dell’Estremo Oriente. Si iniziano poi a salire più ripidamente le centinaia e centinaia di scalini verso la cima con il sudore che scende sempre più abbondante dalla fronte di Vasco. Poco oltre la metà, intorno al 1500° scalino, una panoramica sala da the offre una sosta quanto mai apprezzabile. Un toccasana le ottime granite “filate” a mano ed offerte con una semplice, atavica ed energetica acqua e zucchero. Poco dopo, alcune pietre ricordano il luogo dove soggiornò e compose alcuni dei suoi famosi haiku, Matsuo Basho. L’ultimo tratto è il più ripido, ma offre delle bellissime prospettive ascensionali tra i cedri. Tutto sommato Vasco, anche grazie all’energia della granita allo zucchero ed all’allenamento dato dalle escursioni alpine fatte durante la stagione, raggiunge la cima abbastanza agevolmente e, mentre visita con calma i templi sulla cima, rimpiange un po’ di non poter raggiungere anche le altre due cime sacre ed in particolare lo Yudono-san. Ma, se anche lo avesse raggiunto, non avrebbe potuto raccontarne né scriverne perché a nessuno è concesso di descrivere agli altri quello che ha visto, o percepito, lassù, intorno alla roccia misteriosa dello Yudono-san, il monte sacro dell’acqua e della rinascita.
Uno dei templi sulla cima del Haguro-san 17 agosto 2010
Nulla è cambiato da quando Matsuo Basho terminò il pellegrinaggio lungo le tre cime sacre del Dewa Sanzan:
Since I may not tell
Of Yudono’s wonders, tears
On my coat sleeve fall
.”
(“Narrow Road to a Far Province”, id.)

(segue)

Dewa Sanzan, Honshu settentrionale, Giappone 16 agosto 2010

venerdì 17 settembre 2010

Giovani samurai, vecchie storie: Aizu Wakamatsu

Limori Yama, Aizu Wakamatsu, Giappone 15/8/2010
(segue “Alla scoperta dell’Honshu settentrionale, Giappone”)

Risalendo Honshu in direzione della costa occidentale dell’isola Vasco Cesana e consorte visitano Aizu Wakamatsu. La cittadina è famosa in Giappone per le vicende dei samurai che avevano il loro baluardo nel castello di Tsuruga che ancor oggi torreggia non lontano dal centro di Aizu. Non è altrettanto famosa al di fuori del Giappone e ben pochi occidentali capitano da queste parti. Le indicazioni in caratteri latini cominciano qui a rarefarsi e Vasco deve iniziare a cercare di decifrare le indicazioni delle località dagli ideogrammi in giapponese. Un esercizio nel quale dovrà sempre più applicarsi nel corso del viaggio in Honshu settentrionale. Come molte città giapponesi Aizu al primo impatto appare un po’anonima. Vasco, che nei suoi viaggi non disdegna anche la “normalità” della vita dei paesi che visita, ha imparato che, soprattutto in Giappone, spesso le cose più interessanti e suggestive sono tutte da scoprire. Qualche volta, anche a causa della lingua e della difficoltà ad orientarsi, non si trovano. Altre volte si trovano ma sono in ristrutturazione: come il castello di Tsuruga, attrattiva principale di Aizu, che trova impacchettato come se fosse sottoposto a sequestro giudiziario (la ristrutturazione termina a fine 2010). Gli interni sono aperti ma non li ha trovati molto interessanti.

Ad Aizu Vasco e consorte sperimentano due particolarità del viaggiare in Giappone che vanno tenute presenti quando si viaggia in località di provincia:
1) Pernottare in un “budget” hotel delle catene presenti in molte località del paese, in genere vicino alle stazioni. Ad Aizu Vasco pernotta al locale Toyoko Inn, prenotabile via Internet in inglese, che trova essere un buon esempio di razionalità ed economicità (circa €.60 la doppia) offrendo, in spazi ristretti ma dignitosi, tutto quello che serve al viaggiatore: micro bagno con doccia, postazioni internet gratuite, lavatrice ed asciugatrice, caffè ed acqua gratis, efficiente condizionamento.
2) Rimanere senza soldi. In Giappone, fuori dalle rotte più battute, è difficile cambiare o prelevare contanti: il pagamento con carte di credito non è diffuso e le carte non sono riconosciute dal 90% dei bancomat, con l’eccezione di quelli delle poste (aperti solo in orario d’ufficio) e di poche banche. Non esistono inoltre uffici cambio da nessuna parte e molte banche non cambiano valuta straniera. Necessario quindi premunirsi, soprattutto nei weekend.

Girovagando per Aizu Wakamitsu nella tranquilla calura di una domenica pomeriggio agostiana Vasco arriva infine ai piedi della collina di limori yama, a circa un km dalla stazione.

Risalendo ai lati della gradinata incrocia un bel tempio buddista in legno con all’interno una scala a spirale dagli echi “leonardiani”, che gli ricorda vagamente quella del castello di Chambord nella Loira. Interessante.

Salendo ancora arriva al luogo dove, durante la guerra civile boshin, nel 1868, diciannove giovani samurai in età adolescenziale, chiamati poi “Tigri Bianche (Byakkotai)”, sulla via del castello di Aizu, credettero di vederlo in fiamme e perduto e praticarono il Seppaku, il suicidio rituale trafiggendosi con la spada per salvare l’onore. Peccato che il castello quella volta non fosse ancora caduto e quelle che bruciavano erano solo delle sterpaglie….

Questo sacrificio inutile, ma intriso di ingenuo eroismo, colpì moltissimi negli anni successivi la nazione e Vasco si immagina che possa avere avuto magari qualche influsso, qualche decennio dopo, attraverso l’immaginario popolare, nelle azioni suicide dell’esercito giapponese quando la seconda guerra mondiale volse al peggio. D’altra parte il suicidio, la morte come purificazione ed il valore dell’onore sono parte delle antiche tradizioni culturali giapponesi. Una qualche reminescenza di tutto questo echeggiava anche negli slogan dei movimenti studenteschi del 1968: se in Francia negli scontri alla Sorbona ci si appellava alla mobilitazione con “Ce n’est qu’un début continouns le combat” lo slogan degli studenti giapponesi dell’Università di Tokyo assediata dalla polizia era “Moriremo meravigliosamente” (cit. in “Lezioni spirituali per giovani samurai”, di Yukio Mishima, Feltrinelli 1988 – per inciso, l’autore si suicidò secondo la formula rituale nel 1970).
Aizu Wakamatsu: le tombe dei giovani samurai Biakkotai 15/8/2010

Arrivando al luogo del sacrificio dei Biakkotai Vasco viene assalito, nonostante la calura, da qualche brivido: i 19 giovani samurai sono lì, avvolti dal tranquillo verde della collina, allineati nelle loro tombe di pietra e uniti per sempre. Sul luogo aleggia la nube soffice e profumata degli incensi che, con atti di venerazione, vengono accesi in continuazione dai visitatori di oggi. Molti sono adolescenti come loro. Dietro, altre pietre ricordano altri giovani caduti non si sa bene in quali altre battaglie. Poco più avanti svetta una grande aquila di pietra che si appoggia su una colonna romana, sulla quale, intonsa, è riportata una scritta, in italiano, che arriva direttamente dall’Asse Roma-Berlino-Tokyo, con il tono tipico dei bollettini dell’Istituto Luce durante il ventennio: “S.P.Q.R.: nel segno del littorio Roma, madre di civiltà, con la millenaria colonna, testimone di eterna grandezza, tributa onore imperituro alla memoria degli eroi di Byakkotai, anno MCMXXVIII, VI”.

Solo Vasco, in quanto unico visitatore italiano del luogo, forse da molto tempo a questa parte, magari dal 1928, può cogliere i significati storici della scritta: nella spiegazione in giapponese, stranamente tradotta in inglese, si fa riferimento infatti genericamente ad una colonna romana antica donata dai cittadini di Roma agli abitanti di Aizu, senza alcuna contestualizzazione storica…

Osservando l’aquila littoria da un lato e, dall’altro, le tombe dei giovani samurai Vasco Cesana si appunta una sorta di haiku, poco zen, che gli viene in mente pensando alla dichiarazione di guerra dell’Italia al Giappone verso la fine della seconda guerra mondiale dopo esserne stata alleata: “L’eroismo delle giovani tigri insieme celebrammo ma, quando tutto perdeste, guerra vi dichiarammo”.
Perdendosi nel pensare ai percorsi storici che hanno portato due culture così lontane ad incrociarsi nel XX secolo lasciando delle tracce proprio qui, Vasco si compiace del fatto che questa Aizu Wakamitsu, dietro le sue parvenze un po’ anonime, ne ha però di storie da raccontare…..

(segue) Aizu Wakamatsu, monumento ai Biakkotai fatto edificare dagli italiani in epoca fascista 15/8/2010