lunedì 28 dicembre 2009

Il cardo, il sapore delle feste


Già dai primi anni dell’adolescenza l’attesa delle feste natalizie per Vasco cominciò a diventare soprattutto l’attesa per la lunga teoria di pietanze prelibate che con esse sarebbero arrivate raggiungendo la loro massima varietà e concentrazione in occasione del pranzo di Natale. Tra i tanti profumi e sapori natalizi quello che riconosceva come più caratteristico, più intimamente legato all’arrivo delle feste, era il cardo, una verdura che faceva la sua apparizione a casa solo ed esclusivamente a Natale. Trovava il profumo che si diffondeva nel soggiorno durante la bollitura dei cardi quasi inebriante, un aperitivo etereo che annunciava vaste e golose libagioni nelle ore e nei giorni successivi. Fedele alle proprie antiche tradizioni familiari, Vasco considera i cardi una componente irrinunciabile delle sue preparazioni natalizie. Per prima cosa, già due settimane prima del Natale, prenota al proprio fruttivendolo di fiducia i cardi, almeno due ceppi per otto persone, della varietà Cardo gobbo di Nizza Monferrato, che ritirerà nel pomeriggio della vigilia. La preparazione dei cardi richiede un po’ di tempo, tra una e due ore a seconda della quantità, e normalmente cerca di farla subito dopo l’acquisto. La prima operazione è la pulitura e preparazione dei cardi: con un coltello tagliente elimina le foglioline residue rimaste, le radici e le coste più dure, li taglia a pezzettini di circa 10 cm togliendo un po’ i filamenti interni ed immergendo immediatamente i gambi tagliati in una marmitta di acqua acidulata con succo di limone. Terminata la pulitura, che con i più delicati cardi gobbi è più veloce che con le altre varietà più coriacee, li cuoce in abbondante acqua salata per 30-40 minuti fino a quando saranno cotti ma non mollicci. Durante la bollitura i cardi possono sembrare troppo amari, cosa che può trarre in inganno facendo esagerare nel sale, ma non bisogna farci caso.
I gambi di cardo già puliti e tagliati vanno messi in acqua acidulata
per mantenere il loro coloro chiaro 24 dicembre 2009

Dopo pochi minuti il vapore rilasciato dai cardi pervade la casa e annuncia definitivamente a Vasco l’arrivo delle festività. Una volta cotti li dispone in una pirofila imburrata, lasciandoli un po’ umidi del liquido di cottura e copre la pirofila con una pellicola da cucina in modo da averli pronti per essere messi in forno al momento opportuno, in genere dopo la dodicesima portata del pranzo di Natale, quando si stanno assaporando gli antipasti caldi. Per Vasco la preparazione che meglio valorizza il sapore del cardo è infatti quella al gratin. Pur apprezzando la bagna cauda considera l’abitudine di utilizzarli per questo celebre piatto delle Langhe non sufficientemente valorizzante della personalità del cardo, il cui gusto vi risulta un po’ sacrificato dall’aggressività dell’acciuga. Per arrotondare il raffinato gusto amarognolo dei cardi Vasco versa un paio di cucchiai di latte nella pirofila prima di infornarla dopo avere aggiunto anche qualche piccola scaglia di gruyere e grattugiato sopra il parmigiano. I cardi gratinati, pronti dopo una ventina di minuti in forno caldo, arriveranno a tavola con il primo dei secondi, che per i tradizionalisti coincide con il cappone lesso, però senza quella calamità della cucina lombarda chiamata mostarda. Intrisi dal fondo di cottura del gratin i cardi avvolgeranno ed inumidiranno il palato un po’ prosciugato dalle nobili aridità del cappone e continueranno ad accompagnare con personalità gli altri secondi, che magari tenderanno a prevalere. Solo allora il gusto dei cardi si ritirerà disciplinatamente. In attesa delle prossime festività.

Cardi gratinati 25 dicembre 2009

domenica 13 dicembre 2009

Andare per Trattorie in Istria - costa slovena

Tempo di Granseole alla Gostilna "Za Gradom", Capodistria 8/12/2009
L’Istria è per Vasco Cesana una terra ricca di attrazioni gastronomiche. Le suggestioni arrivano dal mare, con un’interessante offerta di frutti di mare, pesci e crostacei, o dall’interno, attraversata da una sorta di prelibata “via del prosciutto” che parte da Sauris, nell’alto Friuli, passa per San Daniele e, attraversando il Carso, arriva fino alla Dalmazia. Vasco ama degustare il Kraški pršut, il prosciutto crudo del Carso, tagliato piuttosto grosso ma non troppo, ricercando il giusto equilibrio tra la dolcezza data dalla stagionatura e la sapidità, con qualche vena selvatica, dei maiali allevati, magari anche all’aperto, dai piccoli produttori ed ai loro prosciutti “unici” e poco standardizzati.
Le suggestioni gastronomiche istriane arrivano anche dalla storia e dall’incrociarsi di preparazioni e tradizioni culinarie di origine veneziano-giuliana con quelle austro-asburgiche e danubiano-balcaniche. Tutto questo può essere ricercato nelle proposte delle numerose trattorie che punteggiano l’Istria anche nei suoi interessantissimi villaggi interni. Molte osterie invitanti si trovano in Croazia, meglio se visitate al di fuori dei periodi di massimo afflusso turistico. Limitandosi ad alcune visite recenti lungo la costa slovena Vasco ha registrato i seguenti posti particolarmente apprezzati.
Cannocchia con tagliolini al tartufo, "Za Gradom", Capodistria 8/12/2009

Gostilna “Za Gradom” Rodica (Koper/Capodistria-loc.Semedela tel.+386 5 628 55 05), TOP
Robert Plant, dalle foto sulle pareti all’entrata, accoglie i visitatori in questa trattoria di rango che lo ha visto ospite qualche tempo fa. Oltre che da lui (e Jon Anderson e, vabbè, Al Bano) la “Za Gradom” è apprezzata da un’affezionata clientela triestina, e questo è un buon segno. Il menu, rigorosamente declamato di persona dal patron Darko, è l’annuncio di un viaggio tra i prodotti della terra e del mare dell’Istria e delle zone limitrofe. Correttamente, varia con le stagioni, esplorando il territorio con fantasia e seguendo le ispirazioni del momento. E’ tempo di Granseole, che emergono dal piatto rivelandosi sotto una fitta coltre di “fumo di sale”, si potrebbe dire quasi una “inalazione di granseola” (le terme di Strugnano e Portorose sono vicine..). Strepitosi i fusi (pasta istriana fatta in casa) alle ortiche con mezzancolle e funghi. Buona la cannocchia con tagliolini e tartufo istriano. Discreto il tonno alle erbe “a la Woodstock”. Notevoli, sia come preparazione che come presentazione i dolci, tra i quali si sono assaggiati gli ottimi Struklji con castagne e pasta di cachi. Il conto, 78 euro in due per antipasto, primo, secondo o dolce, Malvasia della casa e caffè convince definitivamente Vasco del livello TOP della proposta gastronomica di Darko. Guardando Robert Plant mentre si avvia all’uscita, chiede se in occasione della sua venuta avesse pasteggiato a Jack Daniels: “no, è andato di Refosco” gli risponde Darko. Vasco, rassicurato sulla maturità anche enogastronomica della vecchia rockstar, riscende allora soddisfatto la strada da Semedela canticchiando Starway to heaven. (8/12/2009)

Buzara di Scampi del Quarnaro Osteria "Ribic" 7/12/2009

Osteria “Ribič” (Portoroz/Portorose-loc.Seča), PRO-ASS (7/12/2009)
La location di questa trattoria, isolata sul promontorio che separa Portorose da Sicciole, è suggestiva. Per arrivarci si costeggiano le saline di Sicciole estese sulla sinistra fino al confine con la Croazia. Lo staff in sala sembra l’ex pacchetto di mischia di una squadra di rugby, specializzato ora nel terzo tempo. La scelta dei piatti è molto ampia e interessante; Vasco e consorte vi hanno mangiato, oltre ad un’ottima buzara di coriacei scampi del Quarnaro come antipasto, un eccellente branzino selvaggio in salinera, cotto ai ferri ricoperto del sale delle vicine saline, una preparazione che ne valorizza al massimo il delicato gusto salmastro. Anche il polpo in umido con patate e verdure era ottimo: il “folpo” si cullava, nella sua pentola di alluminio, nelle reminescenze asburgiche del peperoncino ungherese ricordando i tempi di quando questa costa rappresentava lo sbocco al mare della monarchia duale ed il peperoncino proveniente dalle pianure pannoniche poteva qui abbracciare i sapori del mare: proprio poco oltre l’osteria Ribič terminava, secondo l’assetto post 1848, l’area di amministrazione austriaca e cominciava quella di amministrazione ungherese.

Branzino in salinera Osteria Ribič , Portorose 7/12/2009

Ristorante “Primorka (Strunjan/Strugnano), PRO-SEC (varie, fino 2007)
All’ombra dei pini marittimi che ospitano l’hotel ed il centro termale di Strugnano questa trattoria piuttosto elegante è un indirizzo consolidato, molto piacevole nella stagione calda quando si cena sul terrazzo all’aperto. Citata nella guida delle Osterie Slowfood quando questa riportava qualche indirizzo sloveno, la “Primorka” è rimasta forse un po’ “statica” nella proposta dei piatti che non risulta particolarmente ricca. Vasco comunque si ricorda un buon risotto al nero di seppia ed una bella orata al forno preparata come si deve. Da provare se capita.

Trattoria “Da Ivo” (Piran/Pirano), PRO-SEC (varie, 5/12/2009)
Quasi al termine del promontorio dove è adagiato il magnifico abitato veneziano di Pirano “Ivo” è sempre un ottimo posto dove rimpinzarsi con un’abbondante grigliata mista di pesce fresco preceduta da un buon antipasto caldo di coquillage della zona (cozze, vongole e, in passato, anche qualche volta i datteri di mare). Uso un po’ invasivo dell’aglio, Vasco ci ha messo un po’ a digerire la cena, e prezzi non più convenienti come una volta (circa 35 euro a persona). Il Malvasia della casa, di produzione locale, è piuttosto buono e scorre bene.

Relax a Portorose, Istria slovena

Piazza Tartini nel centro di Pirano, Slovenia 5 dicembre 2009

Il breve tratto costiero della Slovenia rappresenta da alcuni anni per Vasco Cesana una gradita meta dove passare qualche giorno di relax marino-termale. La costa slovena è solo una piccola parte di quel concentrato di storia, paesaggi naturali ed umani, richiami enogastronomici che è l’Istria, ora in gran parte all’interno dei confini della Croazia. L’Istria slovena ha la particolarità di offrire, a pochi km una dall’altra, due località termali marine di antica tradizione, già frequentate per le loro proprietà curative ai tempi dell’impero austro-ungarico ed anche prima: Strugnano e Portorose. Vasco le ha frequentate nei diversi periodi dell’anno, e ne apprezza in particolare la tranquillità al di fuori dei periodi di maggiore afflusso turistico. Certo oggi a Portorose qualcosa si è perso della suggestione che provava Vasco quando dal balcone dell’hotel osservava il dispiegarsi delle varie epoche storiche negli edifici che lo circondavano: gli stand sul lungomare rivelavano, fino a qualche anno fa, l'impronta jugo-socialista della vecchia federazione, tra le case si distinguevano alcuni edifici dell’epoca italiana tra le due guerre mentre il vecchio Hotel Palace, edificato negli ultimi anni di Cecco Beppe, era prima fatiscente e praticamente intoccato dall’epoca dello scoppio della prima guerra mondiale, mentre ora vi si è insediato un nuovo hotel di lusso.

Veduta del Palace Hotel Portorose dopo la recente ristrutturazione 6/12/2009

Negli ultimi anni però Portorose ha sviluppato molto la gamma dei servizi forniti per la cura ed il benessere: oltre al centro termale principale, rinnovato ed organizzato modernamente fin dagli anni novanta, nel quale ora è inserito anche un ampio saunapark, altri se ne sono aggiunti con varie specializzazioni. Con il completamento dei collegamenti oggi inoltre è possibile percorrere a piedi o in bicicletta sul lungomare l’intera linea costiera di circa 15 km che va dalle saline di Sicciole , al confine croato, fino a Strugnano passando per Pirano, uno stupendo abitato veneziano in perfette condizioni di conservazione che si sviluppa scenograficamente su una lingua di terra che si protende verso l’Adriatico. Grazie a questa politica di valorizzazione dei servizi per il benessere di antiche origini, Portorose, che in sè come località di mare non sarebbe niente di speciale, è oggi una località frequentata per tutto l’arco dell’anno che, anche in pieno inverno, offre moltissime cose interessanti da fare.

Veduta della baia di Portorose 6/12/2009

Vasco e consorte prediligono per la sistemazione la rete di alberghi LifeClass tutti connessi direttamente dall’interno con il centro termale principale. I periodi preferiti sono a inizio giugno, quando si può fare anche un tuffo in mare e nelle colline c’è ancora aria di primavera o in inverno, quando stare all’interno dei centri benessere è più gradevole e l’aria frizzante salmastra sulla costa è più salubre.

Veduta delle saline di Sicciole 6/12/2009


Una giornata tipica di Vasco nel periodo invernale con campo base al LifeClass Grand Hotel Portorose vede, ad esempio:
1) sveglia alle 8,00-dalle 8,15 alle 9,00 palestra nell’ottimo centro fitness delle terme;
2) dalle 9,00 alle 10,00 colazione “leggera”, con yoghurt, al cospetto dal quale Vasco si chiede come mai questo sia sempre così buono lungo la penisola balcanica indipendentemente dai regimi e dalle epoche storiche (ricordarsi di batterlo prima di degustarlo e mielarlo!), caffè lungo e pasticceria (molto migliorati nel 2009), 2 uova fritte (anche queste una novità) stese su fette di pane tostato e ricoperte da formaggio e pancetta affumicata (le salsicce invece sono rimaste un po’ pesanti), un paio di assaggi di ottimi insaccati locali e, come finale in dolcezza, uno strudelino;
3) alle 10,15 inalazione a base di acqua madre salina seguita da una sigaretta sul balcone;
4) dalle 10,30 alle 13,30 camminata sul lungomare, ad es. fino a Sicciole e ritorno (ca.8 km) o verso Pirano e oltre;
5) poi un caffè espresso illy con una fetta di torta gibanica (pronuncia “gìbanitza”), una combinazione che ripropone antiche affinità asburgiche tra il centro di eccellenza imperial-regio del caffè (Trieste) e le rielaborazioni austro-slovene in chiave dolce di preparazioni serbo-balcaniche. Ottimi entrambi al Caffè del Grand Hotel Portorose;
La versione slovena della Gibanica, rispetto a quella originale serba, è dolce e, oltre alla sfoglia ed alla ricotta, prevede diversi strati di mele, papavero blu e noci - Caffè del Grand Hotel Portorose, 7 dicembre 2009

6) dalle 15 alle 17 bagni nelle diverse vasche termali del centro benessere;
7) a seguire, giro di saune nel sauna park in particolare i bagni al sale, ai vapori all’acqua marina alternati con relax nel tepidarium. In alternativa, un massaggio tradizionale thailandese al centro Wai-Thai dell’Hotel Riviera (diventato un po’ un massaggificio data l’elevata domanda 365 giorni all’anno) o altro massaggio tra le numerose proposte;
8) 20,30 – 22 cena in una delle ottime trattorie istriane della zona e passeggiata digestiva;
9) (optional) dalle 23 in poi, con termine a seconda dei risultati, visita al Gran Casinò di Portorose (budget massimo di Vasco €.50, vincita minima €.200, preferenza roulette con tre numeri fissi con varie combinazioni).
In alternativa:
4bis) itinerari naturalistici e storici lungo l’Istria in auto -tra le molte visite proponibili, oltre ai numerosi centri di impronta veneziana lungo la costa istriana, magnifici, dirigendosi verso l’interno, sono i non lontani abitati di Buje e Motovun, oltre il confine croato, e le zone naturalistiche adiacenti sulle boscose colline e lungo la valle della Mirna. Nel periodo invernale sono possibili diverse osservazioni di uccelli acquatici svernanti lungo la costa e nelle zone umide costiere. D’estate sono osservabili interessanti specie di passeriformi nidificanti.
5bis) nel caso di giro all’interno è d’obbligo una sosta per il pranzo in una delle invitanti osterie ed agriturismi istriani che si incontrano lungo la strada degustando gli ottimi prosciutti crudi locali fluidificati dal buon vino Teran locale. Nel periodo estivo al prosciutto può seguire un leggero assaggio di maialino allo spiedo.

Qualche volta il programma giornaliero di Vasco si limita ai soli punti 2, 4 e 5bis, e 8.

Comunque le sue giornate istriane riservano cose piacevoli e rilassanti da fare, anche se non sempre il fitto programma di attività produce risultati apprezzabili dal punto di vista dietetico.

La costa istriana è una importante zona di svernamento per le strolaghe mezzane Piran, 7/12/2009

domenica 22 novembre 2009

Tempo di cassoeula: la ricetta di Vasco Cesana

Le grigie giornate di questo autunno brianzolo, il primo che Vasco Cesana passa nella sua terra di origine da alcuni anni a questa parte, sono l’accompagnamento ideale per dedicarsi alla preparazione di uno dei piatti più tradizionali di questa zona della Gallia Cisalpina, la Cassoeula, piatto probabilmente con origini ancestrali comuni a quella Transalpina, anche se la Cassoulet, piatto tipico del Languedoc, e l’alsaziana Choucroute, che qualche volta le vengono associati, c’entrano con la Cassouela lombarda come i cavoli o, meglio, le verze, a merenda. La ricerca delle materie prime principali, verze, costine, salamelle, nella versione piccola chiamate in dialetto verzitt, cotenne, non è complicata e possono essere trovate in qualsiasi supermercato o negoziante di fiducia. Più complicato è essere sicuri sulla qualità degli ingredienti e trovare la salsiccia di Monza, la luganega, preparata secondo i canoni tradizionali. Vasco ha alcuni indirizzi sicuri e la trova, perfetta, in una macelleria della zona che preferisce mantenere riservata per non incorrere in problemi di approvvigionamento nel momento del bisogno. Le verze sono coltivate in quasi tutti gli orti intorno a casa. In effetti, essendo stata la temperatura durante la notte abbondantemente sopra lo zero, avrebbe dovuto, seguendo il precetto che la verza deve avere vissuto una gelata prima di essere colta, salire quasi in cima alla Grigna, dove era segnalato lo zero altimetrico ma, tutto sommato, preferisce alla fine chiedere un paio di verze tra quelle, bellissime, dell’orto del vicino.
La ricetta tipica ha diverse versioni. Vasco propende per una ricetta che riflette una certa ricerca di contenimento dell’inevitabile pesantezza del piatto, elaborando le componenti tipiche secondo alcuni accorgimenti che gli erano stati insegnati da sua madre. La cassoeula in sé non è un piatto particolarmente difficile da preparare, richiede solo tempo, almeno 3 ore, ed un buon coordinamento nella preparazione degli ingredienti. Per questo Vasco si è da tempo preparato un flowchart nel quale ha riassunto in forma grafica le preparazione ed i tempi di cottura necessari per essere sicuro di non dimenticarsi qualche fase.



Una decisione critica per il risultato finale, anche in termini di lunghezza dei tempi di digestione, riguarda le cotenne: una casseoula senza cotenne è una bestemmia culinaria ma una con troppe cotenne, soprattutto se non gestite correttamente, può compromettere la digestione dei commensali per diversi giorni a venire. Vasco le limita a 100 g. totali per 6 commensali, e, secondo le prescrizioni, le fiammeggia, le raschia, le rilava e le fa bollire in acqua bollente per un’ora. Con qualche rammarico, Vasco rinuncia anche a prevedere nella casseoula il muso del maiale e le orecchie, ingredienti un po’ pulp previsti nelle ricette originarie brianzole. D’altra parte, in tempi di influenza suina, almeno inconsciamente, l’idea di mettersi a leccare l’unto depositato nell’orecchietta del maiale o di succhiarlo dalle narici forse gli risulta leggermente meno allettante del solito. Per bilanciare il rischio di far diventare la ricetta drammaticamente troppo salutista, decide di mettervi sia i verzitt (i commensali normalmente esigono avere almeno un bel salamino intero nel piatto), sia la luganega.
Per quest’ultima stabilisce due fasi, una parte va all’inizio con il soffritto, destinata a frammentarsi e liquefarsi con la cottura, ed una parte, ridotta a tocchettini punzecchiati un po’ più grandi, più avanti, insieme ai verzitt, dopo aver aggiunto le puntine. La luganega farà così capolino a sorpresa nei piatti di portata per la gioia dei fortunati. Vasco fa parte del partito sostenitore dell’apporto del pomodoro alla casseoula, scegliendo dei bei pomodori pelati San Marzano aggiunti dopo la prima fase di cottura delle puntine e poco dopo le carote ed i sedani sminuzzati. Come insegna la cucina romana, amatriciana in primis, l’acidità del pomodoro corregge correggendosi il grasso rilasciato nei soffritti di cottura dal maiale, facendolo risultare così più “arrotondato”. Nello stesso senso va l’aggiunta di un paio di piccole scorze di limone inserite all’inizio della cottura delle puntine. Tutto fila normalmente abbastanza liscio, a meno che ci si dimentichi di rimescolare o aggiungere un po’ di brodo, facendo sinistramente bruciare il fondo di cottura, fino al passaggio più delicato della ricetta: la gestione delle verze. A quel punto ormai buona parte del pomeriggio sarò stata dedicata alla cucina, l’intingolo nella pentola sprigiona dei profumi suini quasi inebrianti, la fame comincia a farsi sentire e, tuttavia, si può ancora rovinare tutto.....
Il dilemma sta tutto nel contrasto tra il detto dialettale “la casseoula la gh'ha de vess tachenta e minga sbrodolada e sbrodolenta” e l’altro precetto fondamentale che le verze devono rimanere croccanti e non ridotte in poltiglia o, come si dice eloquentemente in dialetto, “desfà” . I due obiettivi sono contrastanti perché da un lato le verze, una volta messe in pentola, rilasciano acqua, che deve assolutamente evaporare e, dall’altro, più a lungo dura la cottura, per rendere più compatta la preparazione, più le verze si “desfano”. A questo si aggiunge il caso, il destino, ovvero effettivamente sembra che se la notte non ci sia stata la gelata, difficilmente le verze riescono a rimanere croccanti. La procedura di Vasco per trovare “la quadra” è quella di anticipare un po’ il lavaggio ed il passaggio in acqua bollente delle verze e di cercare di farle asciugare bene ma il risultato non è sempre quello sperato. Vasco comunque è contrario a quelle cassouela un po’ secche che si trovano qualche volta nelle trattorie ed esige che il liquido permei ed abbracci i compagni di cottura. Il piatto finale deve trasmettere tutto il senso ed il gusto dell’untuosità delle salsicce, delle puntine e delle cotiche semi disciolte e per questo non è per niente convinto anche della necessità di abbinarvi la polenta, che, dall’alto della sua aridità giallastra, vuole privarlo del gusto di intingervi con voluttà i bocconcini di pane. Al limite, pensa, si può dare una possibilità a quelle polente fatte su fuoco a legna nelle tradizionali pentole di rame, non certo a quegli sgorbi mollicci che di solito sortiscono dai normali fornelli di casa. Pessima gli risulta anche la scelta suggerita da alcuni esponenti dell’enogastronomia che vogliono abbinare alla casseoula i vini valtellinesi, magari il grande sfurzat, millantando inesistenti propensioni storiche brianzole a circondarsi di vini valtellinesi, cosa non vera, in quanto questi prendevano molto di più la direzione Nord, verso la ricca e vicina Svizzera e non quella Sud, verso la contadina e plebea Brianza, che al massimo una volta poteva concedersi, oltre al Pincianel ed altri vinelli locali, qualche Barbera e Bonarda dell’Oltrepò. Ed è proprio su una Bonarda che ricade la scelta di Vasco come vino ideale per accompagnare la sciura cassouela, una bonarda giovane e vivace, come ad esempio la Bonarda Vigna delle MoreIsimbarda di un anno, che con il suo brio può fluidificare e far scorrere al meglio la casseoula e le sue grasse e sempre gradite untuosità vivacizzando le grigie giornate novembrine cispadane.


Et...voilà, la casseoula è pronta per essere servita 21 novembre 2009

domenica 8 novembre 2009

Berlino, i Grandi Magazzini della Storia


Veduta dalla nuova cupola del Bundestag (ex Reichstag), Berlino
A vent’anni dalla caduta del Muro ripercorriamo l’ultima visita di Vasco Cesana a Berlino (marzo 2006).
Il programma di viaggio di Vasco prevede la partenza dalla poche di Dunkerque nel primo pomeriggio per riuscire a salire sul volo Virgin da Bruxelles per Berlino evitando la resistenza accanita del traffico che con l'avvicinarsi del weekend scende dalle Ardenne e si trincea lungo il Ring di Bruxelles. Lo aspettano a Berlino nella zona della Wittenberg Platz. Vasco riesce infine a raggiungere il check in ma anche il volo è in ritardo. Arriva nel remoto aeroporto berlinese di Schonefeld ormai a notte inoltrata, intorno alle 22,30. Mentre cerca faticosamente di fare mente locale se andare verso la stazione U-Bahn o piuttosto verso la S-Bahn, entrambe distanti nel gelido orizzonte notturno di questo angolo della ex DDR, gli parte davanti l’ultimo Bus. Rimpiange per un attimo la guerra fredda: se si fosse trovato qui una ventina di anni prima, lui, occidentale, per di più in arrivo da Bruxelles, sede del quartier generale della Nato, sarebbe circondato dalle premurose attenzioni dei Vopos e di qualche agente della Stasi. Oggi invece intorno a lui non c’è neanche un cane a cui chiedere informazioni. In più, è affamato ed i chioschi dei wurstel hanno chiuso bottega da molte ore, come i taxisti che pare siano andati tutti a dormire. Assume quindi la guida, sfoderando nell’emergenza il suo tedesco un po’ scolastico, di un manipolo di turisti dispersi: una coppia di italiani, un francese, due britannici ed alcuni giapponesi che si aggirano nel freddo deserto della stazione. Lo ascoltano con apprensione quando legge ad alta voce e traduce in inglese un cartello che annuncia che il servizio dei treni S-Bahn per il centro in quel weekend è sospeso. I giapponesi non prendono sul serio l’ex alleato dell’Asse e salgono sull’ultimo treno per Brandeburgo scomparendo nella notte lasciandosi alle spalle la città che chissà quando riusciranno a raggiungere. Vasco, imprecando sui caratteri minuscoli dalla mappa delle U-Bahn che ha recuperato e chiedendosi come mai prima di allora non avesse avuto problemi a leggere da vicino, riesce attraverso un complicato giro di intersezioni delle varie metropolitane berlinesi a guidare il resto della comitiva verso il centro. Dal finestrino vede scorrere le fermate che attraversano quelli che erano i sobborghi di Berlino Est, alcune stazioni sono all’aperto e sferzate dal nevischio che si comincia ad accumulare su edifici e portantini che portano ancora segni evidenti di quello che era il design urbano del socialismo reale. La metropolitana infine attraversa in qualche punto la Sprea, valicando il confine oggi immaginario dell’area d’influenza sovietica ed entrando nei quartieri occidentali. Uscendo dalla U-1 si trova di fronte l’imponente edificio dei KaDeWe, Kaufhaus des Westens, i Grandi Magazzini dell’Ovest, un nome che racchiude tutta la suggestione della storia recente di Berlino. Un tempo, non molti anni prima, i KaDeWe simboleggiavano il consumo opulento di Berlino Ovest, regno della ricchezza e dell’abbondanza, o almeno così funzionava il messaggio, contrapposto agli austeri stenti dell’Est. E’ proprio il continuo dipanarsi sotto i suoi occhi dei segni di quella contrapposizione che alimenta il fascino di Berlino per Vasco, figlio di una generazione che in quella contrapposizione è cresciuta ed è stata educata. All’insegna del Muro, possente, invalicabile, separatore di due mondi contrapposti e alternativi, certamente diversi. Allora sì “un altro mondo era possibile”, dal di qui e dal di là dal Muro, anche se, almeno dal di qui, l’altro mondo non appariva molto desiderabile.

KaDeWe - I Grandi Magazzini dell'Ovest Berlino, 11 marzo 2006

E’ sempre più difficile per Vasco trovare in questa città le tracce del suo coetaneo abbattuto in quel 9/11/1989. Quando ne intravede la memoria vede un po’ anche una parte di sé stesso. Nell’ultima sua visita di Berlino alcuni anni prima la trama del Muro era ancora leggibile nel dispiegarsi degli enormi cantieri delle zone di confine centrali della ex Berlino Est. Ora buona parte dei lavori erano terminati anche se i cantieri si erano spostati in nuove zone della città. Però Berlino, ora che i vecchi confini geopolitici erano quasi scomparsi e che la città era tornata ad essere la capitale della Germania, gli sembrava perfino più interessante. Certo la ricerca delle “tracce” del passato recente era adesso più difficile ma, sorprendentemente e ancora più spettacolarmente, un passato ancora più antico stava affiorando dopo l’abbattimento delle barriere tra le due città della guerra fredda: la trama urbanistica ed architettonica della Berlino prussiana era diventata visibile, riesumata nella sua imponenza ora che la Unter den Linden sfociava senza soluzioni di continuità, al cospetto del Reichstag ristrutturato, nella immensa e sterminata prospettiva della Strasse der 17 Juni.


Panorama della Unter den Linden dalla Fernseheturm di Alexander Platz

Il percorso di questa trasformazione è stato veloce se si pensa a cosa è successo a Milano negli stessi 15 anni (nulla) ma si coglie anche in qualche modo una lentezza, come lento è stato il riemergere di questa città dalle distruzioni terribili della seconda guerra mondiale. Una lentezza che Vasco intravede nei volti e nei vestiti un po’ dimessi che si osservano al di fuori delle zone più centrali di quella che era Berlino Est. Vasco si chiede come sia possibile che lo stesso popolo, nella stessa terra, mantenga delle differenze così visibili per una durata ormai quasi superiore a quella della separazione stessa. La risposta che Vasco stesso si dà è clintoniana: it’s the economy, stupid!. Ma la lentezza nella velocità del cambiamento è anche nei continui cantieri presenti, nella perdurante chiusura dei musei della Museum Inseln e nella attesa di nuove trasformazioni che verranno. Lentezza è anche nell’aspetto pre-Muro, quasi anni sessanta, che adesso aleggia in quelle che erano le zone centrali della ex Berlino Ovest nei pressi dei KaDeWe. Lentamente, inesorabilmente, queste hanno perso la centralità di una volta ed ormai sono sopravanzate dallo sfavillante modernismo degli architetti top della nuova Postzdamer Platz.

Resti del Muro presso la Postzdamer Platz Berlino, 11 marzo 2006

Il nuovo Museo dell'Olocausto nei pressi di Postzdamer Platz Berlino, 11 marzo 2006

Il nuovo Bundestag, precedentemente Reichstag Berlino, 12 marzo 2006


Vasco ripercorre questi itinerari durante il weekend sotto una nevicata infinita, copiosa, a tratti quasi una bufera, a tratti illuminata da un pallido sole, con la temperatura costantemente sotto lo zero. Date le condizioni climatiche visita alcuni dei Musei che gli mancavano anche se molti risultano ancora chiusi per lavori. Visita, oltre al volutamente inquietante Museo dell’Olocausto, il Pergamon Museum con il celebre altare di Pergamo e con colorate ricostruzioni assiro-babilonesi. La sera ordina in una trattoria vicino ad Alexander Platz uno stinco di maiale ma incespica sulla traduzione e non capisce bene la risposta del cameriere e si vede arrivare un gigantesco stinco bollito Eisbain invece del molto più succulento stinco al forno Schweinshachse. Trova lo stinco bollito estremamente stucchevole. Quello che gli servono è enorme e lo mangia tutto solo per rispetto del suo precetto di non lasciare mai avanzi nel piatto. Nulla di paragonabile ai meravigliosi Schweinshachsen che aveva degustato più volte nel quartiere di Sachsenhauser di Francoforte accompagnati rigorosamente da fiumi di Sidro (vietata la birra!). All’indomani si mette in coda per la visita del Bundestag ristrutturato, che lui preferisce chiamare con il suo nome storico, il Reichstag, salendo sulla nuova cupola di vetro tra folti gruppi di giovani russi nipoti dei soldati dell’Armata Rossa che sessant’anni prima sfilavano sotto questo edificio vittoriosi. Dall’alto della cupola vede le statue che sopravvivevano nel maggio 1945 sull’edificio annerito con sullo sfondo i tank sovietici e le macerie di Berlino. Solo un paio di anni prima il terzo Reich avanzava inesorabile e sembrava indistruttibile. Tutto sembrava perduto. Eppure, nel giro di tre anni, un fotografo ebreo russo, Evghenij Khaldej, sarebbe salito lì, nella posizione nella quale più o meno si trovava ora Vasco, ed avrebbe fotografato la bandiera rossa sul Reichstag, la fine della guerra e la fine del nazismo. Quarantaquattro anni dopo, poco lontano, in vista delle celebrazioni per il quarantesimo anniversario della Deutsche Demokratische Republik, Erich Honecker, segretario della SED, avrebbe proclamato che il Muro sarebbe durato altri cento anni. Durò invece poco più di cento giorni e, il 9/11/1989, il Muro sarebbe stato abbattuto e la DDR scomparì con lui. Berlino invece è sempre lì, grande e affascinante come sempre, a ricordarci quanto mutevoli e imprevedibili siano i rivolgimenti della Storia. Un Grande Magazzino del Mondo che ne custodisce i suoi eterni insegnamenti.

Particolare della facciata del Reichstag Berlino, 12 marzo 2006

domenica 1 novembre 2009

Foliage in Ticino: Valle di Blenio, Svizzera


Salendo verso Orsera, Valle di Blenio, Svizzera, 31/10/2009


Tranquillamente visitabile in giornata da Milano, la valle di Blenio è raggiungibile dall’autostrada del Gottardo, uscendone pochi km. dopo lo diramazione di Bellinzona. Da Biasca, all’uscita dell’autostrada, a 300 metri di altitudine, la valle sale molto lentamente e dolcemente fino ai 1900 metri del Passo del Lucomagno, valico di transito tra Canton Ticino e Grigioni, o fino alle alture intorno a Campo Blenio, dopo Olivone, fino a circa 1600 metri. Vasco la considera uno dei posti migliori dove osservare il foliage, il dispiegarsi dei colori autunnali, dopo il Quebec ed il New England e, probabilmente, l’isola di Hokkaido. Ne apprezza la “normalità” di valle alpina tradizionale, fatta di gente che vi vive e lavora, non da seconde case sfitte, in un paesaggio aperto e dominato anche a fondovalle da tranquilli pascoli e campi lambiti dai boschi. Tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre (il periodo migliore varia a seconda dall’andamento della stagione, per es., in questo autunno 2009 la stagione sembra leggermente più tardiva rispetto al 2008) vi si possono osservare tutte le gradazioni dei colori autunnali date dagli alberi prevalenti alle diverse altitudini, percorse integralmente e con gradualità dalla tranquilla strada che la attraversa: i castagni, le querce e gli aceri alle quote più basse, i carpini e le betulle che accompagnano i boschi più elevati dove esplode infine il giallo intenso dei larici. I colori possono essere osservati mentre si percorre la strada, prima a fondovalle e poi risalendo verso il Lucomagno con ampie vedute sulla vallata chiazzata di colori variopinti.

Lungo la valle di Blenio 25/10/2008

Scorci presso Olivone Valle di Blenio, Svizzera, 31/10/2009

Nei pressi di Campra si può lasciare l’auto e percorrere a piedi uno dei numerosi sentieri che percorrono i pascoli ed i boschi in quota. Qui nei mesi invernali viene attrezzata una delle migliori piste da sci di fondo di questa zona delle Alpi. Vasco l’ha percorsa diverse volte, rischiando il congelamento degli arti quando ha affrontato l’impegnativo percorso nei mesi centrali dell’inverno, quando il sole rimane costantemente occultato dietro le alte cime. Proprio per questo l’innevamento è piuttosto buono permettendo finalmente di percorrere la pista al meglio verso la fine dell’inverno quando l’altopiano viene finalmente risvegliato dal sole. Da Olivone, in alternativa alla ascesa al Lucomagno, si può svoltare in direzione di Campo Blenio dove, dopo un tunnel, una stradina risale verso Orsera. Nel periodo del foliage questa stradina, che si immerge in un esteso lariceto, viene avvolta da un giallo fiammeggiante che contrasta con la neve che comincia ad imbiancare le alte cime intorno. Si può lasciare in qualsiasi punto l’auto e camminare tra i larici o risalire verso punti panoramici in cresta, ad altitudini comprese tra 1700 ed oltre i 2000 metri di altitudine.


Ruscello presso Campra Valle di Blenio, 25/10/2008

Panorama sul lariceto presso Orsera, m.1700 Valle di Blenio, 31/10/2009

Panorama di Olivone dalla strada per il Lucomagno 25/10/2008

Riscendendo a valle Olivone, principale paese della parte alta della vallata, offre diverse interessanti proposte gastronomiche, tra cui alcuni allevatori che vendono gli ottimi formaggi della zona, una interessante macelleria ed una buona trattoria, citata anche da Slowfood, l’Osteria Centrale.

Osteria Centrale, Olivone (Canton Ticino, Svizzera) – (31/10/2009) PROSEC
(dettagli sulla classificazione in http://vascocesana.blogspot.com/2009/04/la-classifica-di-vasco-cesana-del.html)
Accogliente trattoria che valorizza i prodotti del territorio, soprattutto carni, formaggi e salumi, ideale come sosta nel corso di un’escursione nella Valle di Blenio. Vasco l’ha provata sia a pranzo, dove ne ha apprezzato gli ottimi insaccati e formaggi, sia, un paio d’anni prima, a cena, quando ha assaggiato gli eccellenti gnocchi di ricotta d’alpeggio al burro e salvia. A pranzo la scelta di piatti era un po’ limitata, in particolare per la consorte vegetariana, ma è stato favorevolmente colpito in particolare dalla mortadella, fresca e saporita, quasi una via di mezzo tra una mortadella ed una salsiccia, la definirebbe una mortadella “salsiccevole”, e da un formaggio veramente notevole per rotondità ed aggressiva dolcezza, l’Alpe Pertusio invecchiato due anni nella fresca e aerata cantina dell’Osteria, ben accompagnato dal buon Merlot del Ticino della casa.

Panorama dell'alta valle di Blenio, Canton Ticino, CH 25/10/2008

lunedì 19 ottobre 2009

Alla scoperta degli endemismi della Wallacea: Komodo

Panorama dell'isola di Komodo durante il long walk Indonesia,21/8/2009

Rinca e Komodo sono tra le isole minori della Wallacea ma sono il regno del suo animale forse più famoso: il Varano di Komodo. Il “dragone” è stato scoperto solo nel 1912, molti anni dopo le spedizioni di Wallace nella regione, ed oggi costituisce l’attrattiva principale per un numero crescente di visitatori che vi trovano peraltro intorno anche coste e fondali marini magnifici. La conservazione dei circa 2500 varani che le popolano ha portato alcuni anni fa alla costituzione del Parco Nazionale di Komodo e l’accesso alle isole è regolamentato e limitato ai punti di entrata nel Parco con visite accompagnate da due guide anche per motivi di sicurezza: negli ultimi mesi vi sono stati due episodi di attacco letale ad esseri umani anche se non sono noti episodi di attacco a turisti in visita lungo i sentieri. L’ambiente delle due isole è molto diverso e più secco di quello dell’isola di Flores e le zone forestali sono circoscritte ad alcuni avvallamenti e fondovalle. La concentrazione degli spazi forestali, alcuni dei quali sono visitabili lungo i sentieri di visita, e lo status di zona protetta, hanno favorito una notevole densità di specie di uccelli, rendendo possibile l’osservazione anche di specie normalmente molto difficili da osservare e che qui sembrano avere una distanza di fuga molto ridotta. La facilità di osservazione diventa così quasi eccessiva, pur essendo gli animali comunque in condizione selvatica. L’incontro con una delle specie più importanti presenti, il Cacatua dalla cresta gialla, Cacatua Sulfurea, è stato ad esempio fin troppo facile. Rinca consente migliori osservazioni dei varani ma si sono rilevate meno presenze di avifauna, a parte i numerosi Megapodes. Non molti gli uccelli marini osservati durante la navigazione tra le isole, con qualche movimento di limicoli e ardeidi nelle fasi di bassa marea e di martin pescatori tra le mangrovie. Sorprende un'assenza totale: quella dei gabbiani. Pare che questa assenza sia caratteristica un po' di tutta l'Indonesia. Nonostante le migliaia e migliaia di isole e di ambienti idonei. Abbondanti le flying foxes, in entrambe le serate passate all'ancora, sia presso Rinca che presso Komodo, migliaia e migliaia di volpi volanti si involavano all'imbrunire verso i loro luoghi di alimentazione.



Yellow crested Cockatoo, Cacatua Sulphurea Komodo, 21/8/2009

L'isola di Komodo ospita una delle ultime popolazioni selvatiche del Cacatua dalla cresta gialla. Endemico della Wallacea, è stata una delle prime specie che ha colpito Wallace arrivando a Lombok rilevandone anche la totale assenza al di qui di quella che poi sarebbe diventata la linea di Wallace. Successivamente in effetti ne sono ritrovati alcuni in due piccole isole presso Bali e quindi al di fuori della Wallacea. Oggi è classificato sulla red list degli uccelli come in pericolo critico di estinzione. 6 esemplari in due punti osservati durante long walk all'isola di Komodo il 21/8/2009.


Orange-footed Scrubfowl, Megapodes reinwardt Isola di Rinca, 20/8/2009

Il Megapodes "piedi arancio" è una delle osservazioni più interessanti che offre il Parco di Komodo, dove questo strano animale tipico della regione biogeografica dell'Australia-Papuasia, che abbandona le uova sotto il terreno lasciandole a sè stesse, può essere osservato con una certa facilità. Diverse specie simili ed endemiche sono (o erano) presenti in altre zone e isole della Wallacea. 5 osservazioni all'inizio del long walk dell'isola di Rinca il 20/8 ed un paio lungo quello di Komodo il 21/8.

Black-naped Oriole, Oriolus chinensis Komodo, 21/8/2009

Questo grosso rigogolo di matrice asiatica, come si evince dal nome scientifico chinensis, è considerato comune nelle isole della Wallacea anche se le rade zone forestali di Komodo ne rendono più facile l'avvistamento. Canto molto simile ai rigogoli europei.

Barred Dove, Geopelia Maugei Rinca, 20/8/2009

La Tortora barrata è una specie endemica della Wallacea localizzata nelle Lesser Sundas e nelle Molucche, qui fotografta presso gli edifici all'entrata del Parco a Rinca.

Pied Imperial Pigeon, Docula bicolor Zona di Komodo, 20/8/2009

Questo "Piccione Imperiale bianconero" si è posato per un po' su un isolotto presso Komodo e poi è ripartito verso il mare. Pare (Coates e Bishop) che ci siano poche osservazioni nelle Lesser Sundas di questa specie.


Green Imperial Pigeon, Docula aenea Komodo, 21/8/2009

Il "Piccione Imperiale verde" è una specie di matrice asiatica con numerose sottospecie nelle diverse isole della Wallacea. Considerato comune in tutte le isole, in effetti durante il viaggio si è trovato solo percorrendo il long walk di Komodo, dove diversi esemplari si facevano fotografare con una certa facilità.

Wallacean Drongo, Dicrurus densus Komodo, 21/8/2009
Il Drongo della Wallacea, endemismo delle Lesser Sundas e delle Molucche meridionali, è apparso molto diffuso con diverse osservazioni sia a Flores che a Rinca e Komodo.

White-bellied Sea Eagle, Haliaeetus leucogaster XVII Islands, 16/8/2009

Diversi esemplari di Aquila di mare white-bellied, specie a vasta distribuzione asiatica e australiana, sono stati osservati durante la navigazione tra Flores, Rinca e Komodo. Questa foto di un giovane sorvegliato da una flying fox mentre sorvola un loro posatoio è stata scattata nella zona delle XVII Islands nei pressi di Riung a Flores.



Migliaia di Flying Foxes lasciano dopo il tramonto il posatoio nei pressi di Rinca dirette verso l'isola di Flores, 19/8/2009

domenica 18 ottobre 2009

Alla scoperta degli endemismi della Wallacea: Flores


Drongo della Wallacea Dintorni di Riung, Isola di Flores, 17/8/2009

“We have are a group of Oceanic Islands in miniature-islands which have never formed part of the adjacent land, although so closely approaching them, and their productions have the characteristic of true Oceanic Islands slightly modified. These characteristic are the absence of all Mammalia except bats, and the occurrence of peculiar species of birds, insects, and land shells, which, though found nowhere else, are plainly related to those of the nearest masses of land” (Alfred Russel Wallace, “The Malay Archipelago”, ca.1860, edizione Periplus 2008).

Le isole di Flores, Komodo e Rinca fanno parte della regione biogeografica della Wallacea, così denominata in onore del grande naturalista inglese che nell’ottocento vi scoprì, soprattutto dall’osservazione degli uccelli, una “terra di mezzo” tra la regione biogeografica Indo-Malayana e quella dell’Australasia notando un’improvvisa rarefazione delle specie asiatiche tipiche di Java passando il breve tratto di mare che separa Lombok da Bali (denominata poi “Linea di Wallace”) ed un progressivo estendersi di specie più prossime alla fauna australiana nelle isole più orientali. Questa scoperta, analizzata in fitti scambi epistolari con il contemporaneo Darwin, sembra avere avuto una notevole importanza nella definizione della teoria dell’evoluzione ed è stata alla base dei successivi studi sulla deriva dei continenti. Vasco, leggendo The Malay Archipelago mentre sorvola con il volo Merpati diretto da Bali a Flores la linea di Wallace, osserva affascinato le isole circondate da coralli e fitte di foreste sottostanti. Sulla sinistra, in cielo, una cima altissima, che si erge al di sopra di una fitta coltre nuvolosa vagando come una barca in navigazione sul nulla: è la cima del Gunung Rinjani, nell’isola di Lombok, che annuncia, dall’alto dei suoi 3726 metri degradanti sull’oceano, il suo Benvenuto in Wallacea.
Moltissime sono le specie endemiche e le varietà sviluppatesi nella miriade di isole della Wallacea: delle 647 specie di uccelli conosciute almeno 262 sono endemiche e la regione è tra i santuari, vedi http://www.biodiversityhotspots.org/xp/hotspots/wallacea/Pages/biodiversity.aspx, della biodiversità mondiale. Sulawesi, la vecchia Celebes, su una superficie simile a quella dell’Irlanda, anche se un po’ più accidentata, ospita la massima ricchezza di endemismi, con 97 endemismi e 10 generi esclusivi, “l’avifauna con più specie endemiche di qualsiasi altra regione comparabile sulla terra” (“A guide to the Birds of Wallacea”, B.J. Coates and K.D.Bishop, Dove Publications 1997). Flores e le altre isole delle Lesser Sundas, inclusa Timor, ospiterebbero 71 specie endemiche e 3 generi esclusivi. La mappatura è comunque lungi dall’essere completa, la tassonomia di molte specie è incerta e per molte isole è dubitabile che qualche essere umano le abbia mai visitate in modo approfondito, tantomeno qualche biologo o ornitologo. Anche nell’isola di Flores, ad esempio, non è chiaro lo status di alcune specie, e studi recenti tendono ad elevare al rango di specie alcune delle numerose sottospecie presenti sull’isola. Le specie endemiche esclusive di Flores risulterebbero attualmente 5, tutte nella parte occidentale dell’isola, mentre altri 14 sarebbero gli endemismi esclusivi in comune con le vicine isole di Sumbawa e Sumba. Wallace ai suoi tempi non aveva fatto molto caso ai pipistrelli, ma pare che anche per loro non si scherzi: 125 specie censite.

Flores Lorikeet Dintorni di Riung 17/8/2009

Vasco sbarca a Flores armato dell’unica guida che è riuscito a recuperare durante il viaggio “A Photographic Guide to the Birds of Indonesia” di Morten Strange, edizioni Periplus 2001, buona guida tascabile ma con solo una parte delle specie descritte, alcuni resoconti ornitologici e piani di viaggio reperiti su Internet, nessuna conoscenza pregressa degli uccelli indonesiani, nessun riferimento o guida specialistica locale o visita naturalistica organizzata, il suo binocolo e la sua reflex digitale EOS 30D Canon con teleobiettivo 70-200 L IS USM e 1,4 X. Successivamente al suo rientro riesce a recuperare il libro di Coates e Bishop del 1997, molto ricco di informazioni ma un po’ scarno nei disegni, non molto maneggevole e di non facile consultazione, con il quale però ha potuto controllare alcune foto dubbie e specie incerte. Quelli che seguono sono i resoconti, più che altro fotografici, delle principali osservazioni fatte nell’agosto 2009 durante il viaggio lungo l’isola di Flores e la navigazione tra Flores, Rinca e Komodo.

Isola di Flores
L’esteso manto forestale e la varietà di ambienti alle diverse altitudini comprese tra 0 e 1700 metri rendono l’isola di Flores estremamente interessante e suggestiva. E’ un’isola ancora piuttosto selvaggia e con una densità di popolazione non eccessiva e con pochissime infrastrutture. Le zone più remote sono difficilmente accessibili e per raggiungerle sono necessarie vere e proprie spedizioni organizzate con guide specialistiche locali. Tra l’altro è risultato impossibile trovare sul posto delle mappe dettagliate. Non avendo una conoscenza pregressa specifica l’osservazione degli uccelli nelle zone di foresta, in particolare quella primaria e secondaria, risulta difficile, in particolare la localizzazione, anche quando, come nelle prime ore del mattino, i canti e le vocalizzazioni risultano numerosissimi. L’esempio più eclatante è il Bare Throated Whistler ("Zufolatore golanuda") Pachycephala nudigula, specie endemica esclusiva delle isole di Flores e Sumbawa, incontrato ai piedi dei laghi di Kelimutu, che, nonostante il canto incredibile, non è stato possibile localizzare nel folto della foresta nonostante fosse distante pochi metri. Un aspetto che in qualche modo facilita l’osservazione degli uccelli forestali di Flores è che anche la strada principale che attraversa l’isola è in pratica una stradina che si fa largo per lunghi tratti nella foresta. In questo modo, anche durante gli spostamenti, è possibile fare osservazioni interessanti, in particolare nelle ore del mattino e serali e nelle zone meno abitate. Nelle ore centrali della giornata il silenzio cala sulla natura dell'isola. Essendo gli uccelli di Flores molto selvatici, anche perchè fanno parte della dieta "a kilometri zero" degli abitanti dei villaggi della zona, le osservazioni richiedono una certa abilità ma sono decisamente "rewarding". I tratti dove c’è maggiore visibilità e possibilità di osservazione sono quelli di foresta monsonica, ad agosto nella fase più secca e con molti alberi spogli, alcuni ricoperti di frutti. Per varietà di ambienti e di specie osservate l’itinerario più ricco trovato è stato quello da Moni a Riung, soprattutto nella parte iniziale e finale: questo itinerario consente di attraversare i diversi tipi di foresta da 1200 m fino al livello del mare, con zone di savana e nella parte finale una magnifica ed estesa foresta monsonica che digrada sulla costa settentrionale in un'area di estese foreste di mangrovie. La strada inoltre è pressochè deserta e ci si può fermare tranquillamente lungo il tragitto. Le zone forestali ai piedi dei laghi di Kelimutu, una delle principali attrattive turistiche di Flores, sono un buon posto per qualche osservazione ed anche le strade da Moni a Ende sono interessanti, come quelle intorno a Bajawa ed in direzione di Ruteng. La zona di Ruteng e quella verso Labuanbajo, essendo prossime alle foreste più importanti della zona occidentale dell'isola sono quelle dove in teoria si dovrebbero trovare gli endemismi di Flores più rari ma è necessario un po' di tempo ed in qualche caso una vera e propria spedizione. In questo viaggio non si è riusciti a spingersi molto al di là della strada principale, che non ha offerto molto. La zona umida più interessante trovata è comunque su questo tratto di strada, nella piana di Lambar, che letteralmente pullulava di uccelli acquatici e ardeidi.

Flores Lorikeet-Trichloglossus (haematodus) weberi Dintorni di Riung, Isola di Flores 17/8/2009
Risalendo verso le montagne alle spalle di Riung, un gruppetto di Lorichetti di Flores-Trichoglossus (haematodus) weberi si alimenta ai bordi della strada. In precedenza considerato una sottospecie del Rainbow Lorikeet i testi più recenti lo considerano una specie a sè stante e sarebbe quindi uno dei cinque endemismi esclusivi di Flores.

Yellow-spectaled White-eye, Zosterops wallacei Detusoko, Flores, 14/8/2009

Specie endemica esclusiva delle Isole di Flores, Sumba e Sumbawa, questo piccolo passeriforme sembra piuttosto diffuso. Qui è fotografato nel giardino della missione di Detusoko, nella parte centrale dell'isola di Flores, ad un altitudine di ca. 900 m.

Flame-brested Sunbird-Nectarinia Solaris Dintorni di Riung, Flores 17/8/2009

La "Nettarinia pettoflammeo", endemica di Flores e delle altre Lesser Sundas, è comune e facilmente osservabile in tutta la parte centro-occidentale dell'isola, in particolare nelle fasce marginali della foresta monsonica. Almeno 10 osservazioni durante il viaggio a Flores, qui nelle alture intorno a Riung.

White-rumped Kingfisher, Caridonax fulgidus presso Bena, Flores 17/8/2009

Unica specie del genere Caridonax, il White-rumped Kingfisher è classificato come una specie intermedia tra i martin pescatori ed i Kookaburra australiani. Endemico dell'isola di Flores e delle vicine, Sumbawa, Besar e Lombok. E' una delle prime specie che hanno colpito Wallace quando arrivò a Lombok. Il suo "materializzarsi" ai bordi della foresta, spiccando con i suoi colori viviaci dal fitto del sottobosco è una esperienza naturalistica memorabile. A Flores è considerato piuttosto diffuso ma durante il viaggio si è fatto vedere una sola volta, all'imbrunire, ai margini della bella foresta d'altura intorno alla strada che da Bena, enigmatico villaggio dell'etnica Naga, conduce a Bajawa, nella parte sud-occidentale di Flores. Foto scattate in manuale a 1/100, f.5,6 e 1600 ISO.

Flores Minivet - Pericrotus Landsbergei Danau Ranamese, Flores 18/8/2009

Endemismo esclusivo delle isole di Flores e Sumbawa, il Minivet di Flores è considerato moderatamente comune ma non è facile vederlo mentre svolazza nei rami alti della foresta. Due osservazioni durante il viaggio a Flores tra cui questa femmina ai bordi del lago di Ranamese sulla strada per Ruteng.

Black faced Munia-Lonchura Molucca Dintorni di Ruteng, 19/8/2009
La Munia testanera è uno degli endemismi della Wallacea più comuni. E' facile incontrarla nei villaggi ed ai bordi delle risaie, come questa famigliola presso le spiderweb ricefields nella zona di Ruteng verso Labuanbajo.

Common Koel juv?-Eudynamus Scolopacea Riung, Flores 15/8/2009

Questo sembrava essere un raro Corvo di Flores-Corvus Florensis ma da un esame più attento dovrebbe essere un giovane Common Koel-Eudynamys Scolopacea, comunque un uccello piuttosto difficile da vedere.

White Breasted Wood-swallow, Artamus Leuocorhynchus Dintorni di Riung, 15/8/2009

Questa specie di Rondine boschereccia è presente in tutta l'area delle isole australo-pacifiche e si spinge fino alle Andamane. A Flores sembra piuttosto diffusa: qui fotografata in zona di savana tra Ende e Riung e vista anche su un paio di piccole isole delle XVII Islands.

Wooly-necked Stork, Ciconia Episcopus Piana di Lambar, Flores 19/8/2009
La Cicogna Episcopus, specie di diffusione asiatica ed africana è considerata rara in Indonesia. Qui è fotografata nella piana di Lambar, nella parte occidentale di Flores, in compagnia, in basso, di una Sgarza di Java, Ardeola speciosa.

Spotted Kestrel, Falco Moluccensis Piana di Lambar, Flores 19/8/2009

Il Gheppio delle Molucche è frequente nelle zone aperte di Flores. Specie indonesiana è presente oltre che in Wallacea anche a Java. Circa una decina le osservazioni durante il viaggio a Flores.