
Bulbul dagli occhiali -Pycnonotus xanthopygos Ein Gedi, 2/1/2010
Varano di Komodo Isola di Komodo, Indonesia 21/8/2009 Vasco e consorte si imbarcano a Labuanbajo , sulla costa nordovest dell’Isola di Flo...
Bulbul dagli occhiali -Pycnonotus xanthopygos Ein Gedi, 2/1/2010
Particolare della Cupola nella Roccia - 1/1/2010
Veduta della Spianata delle Moschee - Gerusalemme 3/1/2010
Giovani israeliani in fila a occhi chiusi prima di affacciarsi sul Muro del Pianto - 1/1/2010
La visita di Gerusalemme deve necessariamente misurarsi con il sovrapporsi dei diversi calendari e festività delle tre tradizioni religiose che vi si intersecano: il venerdì dei musulmani, il sabato degli ebrei e la domenica dei cristiani ognuna con le sue tradizioni e, per il visitatore, i suoi orari di accesso o chiusura dei monumenti. Vasco non è riuscito così ad accedere alla spianata delle Moschee, anche se fonti indipendenti gli hanno confermato che attualmente sarebbe visitabile. Il modo in cui viene vissuto lo Shabbat lo ha sinceramente colpito: dal tramonto del venerdì a quello del sabato tutto si ferma, le strade si svuotano, i negozi, di solito sempre aperti anche in tarda serata, sono chiusi, i menu si adeguano, perfino alcuni ascensori si conformano alle prescrizioni dello Shabbat e vengono impostati in modo automatico per non richiedere l’uso dei bottoni, rivelando anche ai profani la dimensione intimista, atavica del senso della festività ebraica. Vasco e consorte passano a Gerusalemme anche la notte di San Silvestro, che passa nell’assoluta indifferenza della città e, fortunatamente, nessun botto. Il silenzio della città è spezzato, a mezzanotte, dal rincorrersi delle campane delle chiese cristiane di Gerusalemme che annunciano festose, commoventi nella loro solitudine, l’arrivo del nuovo anno domini.
Interno del Santo Sepolcro - la cappella ortodossa posta sulla roccia del Golgota nel punto dove si ritiene sia stato crocefisso Gesù Cristo - 1/1/2010
Visitando all’indomani la città vecchia Vasco è colpito dalla moltitudine di culti e tradizioni cristiane che vi si sovrappongono e vi si affollano quasi sgomitandosi: gli ortodossi, i cattolici, gli armeni, i copti, i protestanti, gli etiopi, i siriani ognuno alla ricerca dei suoi spazi nei luoghi sacri ed ognuno con uno spazio assegnato o conquistato nel corso della storia in funzione della ricchezza e dell’influenza . La basilica del Santo Sepolcro lo colpisce più per questo che per fervore religioso. Visitarla è come ritornare ad un’epoca nel la quale le diverse correnti cristiane si confrontavano e scontravano in un clima di mutua tolleranza forzata, un po’ come quello che si doveva respirare tra il Concilio di Efeso ed il Grande Scisma del 1043, data alla quale viene fatta risalire la separazione definitiva tra Chiesa Cattolica ed Ortodossa. Il perdersi nelle diverse cappelle ed angoli votivi che si sovrappongono nel Santo Sepolcro è una esperienza affascinante, accompagnata dalle preghiere di tutte le lingue e dall’apparizione e dalle esortazioni di monaci dalla lunga barba ma dall’incerta matrice confessionale che sembrano essersi persi qui dai tempi di Goffredo di Buglione. Non bisogna aspettarsi la grandezza e la raffinatezza che si ritrova, ad esempio, nelle chiese di Roma. Nella Gerusalemme cristiana tutto è piccolo, fermo alle strutture medioevali e poco si può toccare anche per non modificare gli equilibri tra le diverse confessioni: lo status quo, che fotografava i diritti delle comunità cristiane sul Santo Sepolcro e la Basilica della Natività nel 1700 è stato adottato dall’Impero Ottomano e poi confermato dalle diverse giurisdizioni sui luoghi fino ai nostri giorni, passando anche per la certificazione data dal Congresso di Berlino. Con la saggezza che aveva contraddistinto per secoli la Sublime Porta, la custodia del Santo Sepolcro è rimasta affidata a “terzi”, la famiglia musulmana dei Nusseibeh, che ricopre questo ruolo da 1450 anni, per incarico affidato direttamente dal Califfo Omar nel 637. La procedura di apertura della porta è la stessa da secoli ed assistervi probabilmente una di quelle esperienze che solo Gerusalemme nel mondo può dare. Vasco però non si è mai svegliato in tempo per andarci durante la sua permanenza e non è in grado di confermare il reale interesse e fruibilità della cosa.
Gerusalemme vecchia, veduta nel quartiere cristiano nei pressi del Santo Sepolcro - 1/1/2010
Il momento più intenso della visita di Gerusalemme Vasco però l’ha vissuto non al cospetto dei luoghi santi o storici della vecchia città ma nella visita di un’opera moderna, lo Yad Vashem, il nuovo museo dell’Olocausto inaugurato nel 2005 su una collina nei dintorni di Gerusalemme, forse l’opera di architettura moderna che più lo ha colpito in senso assoluto. Il museo si sviluppa su un lungo corridoio che si percorre lasciandosi alle spalle un grande pannello video, nel quale sono raffigurate serene immagini delle comunità yiddish europee di fine ‘800. Proseguendo zigzagando lungo il corridoio si sprofonda gradualmente nell’incubo dell’olocausto attraverso le vicissitudini delle varie comunità ebraiche europee negli anni del nazismo fino a giungere all’impressionante sala finale nella quale la luce del cielo si riflette su un acqua nerastra, al fondo di una voragine. Sopra di essa si sviluppano su una grande parete ad imbuto migliaia e migliaia di foto originali di vittime dell’olocausto che circondano e avvolgono il visitatore in un abbraccio che gli mozza il fiato, lasciandolo in sospeso tra la sensazione di essere vittima e quella di essere carnefice. Infine, in fondo al corridoio, un terrazzo si affaccia sulle verdeggianti colline intorno a Gerusalemme, che sembrano quasi irreali nella loro tranquilla bellezza, descrivendo al meglio, anche nelle sue implicazioni politiche, la sensazione della rinascita, il luogo dove si riemerge dopo essere stati al limite dell’annientamento. Forse è proprio questo spirito originario che sta alla base della vivacità che si respira anche a Gerusalemme, in particolare camminando nella zona di Jaffa Road nelle ore serali e notturne, che pullulano di locali, ristoranti e bar affollati fino a tarda notte con, anche nella stagione invernale, tavolini all’aperto, giovani che scherzano per strada, magari con il mitra in spalla, suonatori no global e saltimbanchi vari, in un paesaggio umano che, almeno all’interno dei propri confini comunitari, dà una sensazione di grande libertà e tolleranza, di una società moderna e aperta, vogliosa di vivere. Nonostante tutto.
Jaffa Road, ore 23,30 - Gerusalemme, 2/1/2010
Tante Kippah diverse Gerusalemme, 3/1/2010
Lungo la spiaggia di Tel Aviv 31/12/2009
Mediterraneo Tel Aviv, 31/12/2009
Gradualmente la linea costiera dominata dai grattacieli e dai grandi alberghi stile Miami Beach del centro di Tel Aviv lascia spazio a costruzioni più basse, qualche giardino ed a poco a poco si arriva al promontorio dove si profilano le moschee ed il villaggio, di impronta araba, dell’antica Jaffa. In queste terre quando si usa il termine antico non si può dire che sia usato alla leggera: i primi insediamenti a Jaffa risalgono a 4000 anni fa e la sua fondazione sarebbe avvenuta, pochi anni dopo il Diluvio Universale, a cura del figlio di Noè. In cima al promontorio spicca la sagoma familiare, in uno stile che si direbbe di barocco ligure, del campanile del Monastero di San Pietro. Sotto, la piccola e graziosa Moschea dei pescatori. Intorno un rigoglioso giardino, ornato da belle sculture moderne e disposto con sapienza urbanistica dall’amministrazione israeliana, proietta lo sguardo sulla spiaggia, il mare e la città. Un tocco di Florida, storie e culture che arrivano dalla notte dei tempi, uno stato moderno. Il tutto avvolto dalla luce, dal mare e dal tepore del Mediterraneo. E’ Tel Aviv.
Veduta di Tel Aviv dall'antica Jaffa 31/12/2009
Veduta di Jaffa dalla moderna Tel Aviv 31/12/2009